Un jour en France / (Cobain Tattoo)

On 02/11/2012 by alecascio

Spremo mezza arancia e aggiungo un cucchiaio di zucchero di canna al mio Southern, poi mescolo il mondo attorno al bicchiere e bevo tutto d’un sorso. Strizzo gli occhi e quando li riapro mi accorgo di aver mescolato troppo, perché tutto mi appare parecchio scombinato.
Mi sono innamorato di una splendida ragazza di Parigi, si chiama Serena. Tra noi durerà poco, ma con quel poco farò arte per un anno almeno. Perché è così che funziona, la vita per quelli come me è buona solo se funzionale all’assemblaggio di note e parole. Non distinguiamo il bene dal male, non c’è differenza tra il bieco e l’onesto, l’arte alla fine giustifica anche la peggiore delle azioni.
Gioca con un solco sul tavolo ripercorrendolo dall’alto verso il basso e “Un jour seulement”, bisbiglia.
“Che dici? Un giorno non mi basta”.
“Je dis que si un jour a bien vécu, intensément, te donne l’énergie pour les autres jours à venir. Que beaucoup de jours pour les humaine sont inutiles, ils ne vivent que dans le sillage de cet istant magnifique.”
Le ho fatto credere di conoscere la sua lingua perché ho fatto cenno di sì a ogni cosa dicesse, l’ho fatto per ore. E’ incredibile quante risposte possiamo dare con un movimento della testa e a quanto poco servano le parole, inventate probabilmente da una tribù di uomini senza collo e tramandate a noi nei secoli.
“E un giorno sia”, le dico: “La maggior parte dei giorni per gli uomini sono inutili, essi non vivono che nel riflesso di un solo magnifico istante”.
“C’est ce que j’ai dit », risponde : « Si on enlève les heures passées à dormir et à nous tourner les pouces, à attendre, ou à rejoindre des lieux , nous aurions vécu assez même en mourant a vingt ans”.
Chissà cosa dice, chissà cosa pensa, parliamo in due stili diversi le stesse parole. Le faccio così con la testa, sorrido e mi avvicino alla sua morbida guancia scura.
Se togliessimo le ore passate a dormire e a rigirarci i pollici, ad aspettare o a raggiungere luoghi, avremmo vissuto abbastanza anche morendo a vent’anni.
Gli direi questo e ben altro se capissi quella sua lingua gentile, ma non so dire altro che “ti amo” e “ les clés sont sur la table, à côté des fruits” e poi ho troppa voglia di farmi parlare francese addosso.
Mi alzo di fretta come se avessi visto un musulmano vestito con un giubbotto Dolomite. Le dico di seguirmi.
“Attends-moi” dice, “je ne trouve pas les …”
Le indico il piccolo treppiedi in legno isolato a ridosso del muro e “Les clés sont sur la table” dico. Prima che lei lo guardi lancio la mezza arancia rimasta che scivola sul legno del fradicio mobile antico e lo lascia tremante ma ancora saldo al pavimento: “A côté des fruits”.
Era dai tempi della scuola che cercavo un motivo valido per dirlo.

A. Cascio, Un Jour en France, Da: Tutta la maledetta verità su Escobar

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