Arte moderna – Da: Tutta la maledetta verità su Escobar Ep 3

On 19/08/2012 by alecascio

Entro in questo piccolo museo d’arte moderna nel cuore del Village con un cappello Winchester e dei guanti in cuoio giapponesi, poi per attirare l’attenzione fisso uno dei quadri appesi al muro tenendomi il mento e poggiando il gomito destro sotto la mano sinistra come fa la gente avant-garde da queste parti.
“Sei un artista?” mi chiede un giovane con la barba ben curata, omosessuale da tre generazioni, mi chiedo come sia possibile che si trovi qui di fronte a me a dirmi: “Il tuo volto non mi è nuovo”.
C’è il suo nome nella lista della gente che non ho mai incontrato e che mai incontrerei se non stessi piazzando i lavori di Jhon, ma per sicurezza gli chiedo: “Con chi ho il piacere di parlare?”
“Roland Burton, il curatore di questa mostra”.
“Ah, è una mostra, pensavo stessero restrutturando l’edificio”.
Il suo nome è in grassetto nella lista, io vado ad occhio, lo avevo detto che c’era.
Lo guardo come se fossi un professionista dell’inutile offeso per non essere stato riconosciuto come tale.
“Fabio Carmelo Santabarbara detto The saint” improvviso. Sono un genio, dal vero e nella finzione. Non gli stringo neanche la mano prima di dirgli che “non mi piace ripetere il mio nome, mi mette di cattivo umore e mi provoca un fastidioso reflusso, non farmelo ripetere un’altra volta, non in questa vita almeno”.
Che cazzuto figlio di puttana che sono, non c’è eclettico misantropo più credibile di me.
Roland si tira indietro all’arrivo di un collega che mi chiede:
“E lei chi … ?”
Ma quello non fa in tempo ad aggiungere il verbo che lui gli corregge il soggetto con tono di rimprovero:
“Per Dio, Marcel, questo è Fabio Carmelo Santabarbara”.
E’ tutta gente di Detroit, questa, di Chicago, Dallas, sono fuggiti via dalle loro sporca esistenza da pompinari da vicolo cieco per venire a fingere di essere utili qui a New York.
Non c’è niente di più utile di un pompino al mondo, è per quello che noi uomini scriviamo poesie da secoli. Se le donne del passato avessero desiderato il cazzo quanto noi abbiamo desiderato la fica, avrebbero fatto la stessa illuminante carriera degli uomini, ma non sapevano che per parlare bene d’anima devi prima desiderare la carne.
“Sta lavorando a qualcosa di nuovo?” mi chiede Roland e io lo guardo male, non ha detto niente di sbagliato ma è così che si fa, bisogna far sentire la gente perennemente in colpa per fargli apprezzare il doppio la tua misericordia. Che magnifico maestro è il Padreterno, chi lo ha preso come esempio ha governato il mondo.
“Ho appena finito la mia ultima opera, ‘Puttana coreana’, sarà al Moma dal prossimo mese”.
Applaudono a mani quasi giunte, mi meraviglio che facciano tutto questo rumore.
“Bravò, bravò”, urlano: “In cosa consiste?”
“Ho appiccicato i miei peli pubici al viso di un manichino rosso, bianco e blu e poi c’ho pisciato sopra.”
“Bravò, bravò”, urlano: “Génial, c’est génial”.
Vestono bene, non c’è che dire, ma tutti quegli enormi sassi e mucchi di ferrivecchi, quella diarrea di colori, quei vuoti creativi considerati “arte” solo perchè mai fatti prima, li rendono sgradevoli comunque, anche se sanno di CK e bevono J&B. Se nessuno ha mai bucato le tele prima di Lucio Fontana è perchè non ce n’era alcun motivo, se nessuno ha mai strappato e incollato locandine cinematografiche per opporsi al mondo del cinema prima di Rotella, è perchè bastava smettere di andare al cinema e guardare qualcos’altro, una partita di Baseball in TV, la ruota della fortuna. Ci sono vecchie Signore più trasgressive negli ospizi di Ananheim.
Dare dei soldi a un artista del no sense è come dare lo stipendio a barboni e sfaticati cultori del no work.
“E quello che ha in mano?” chiede Roland.
“E’ il lavoro di un amico” dico.
“Cos’è?”
“Un disegno”.
Rimangono a bocca aperta non appena lo tiro fuori.
“Con una matita riproducono la realtà e poi la colorano”.
Marcel ride, dice che “la realtà è già colorata, la realtà è profumata, è rumorosa, luminosa, non c’è motivo di riprodurre la realtà se già esiste, la realtà è onnipresente”.
Non fa una piega, ma nessuno può venire a dare lezioni d’arte a Fabio Carmelo Santabarbara, è scritto nel copione, proprio prima della scena due, pagina uno, quella in cui io mi fiondo su un critico omosessuale del village e gli sferro un ratatam di cazzotti sul viso fino a farlo piangere.
“Perchè” mi urla, “perchè destino crudele proprio a me, perchè!?”
Quando le guardie tentano d’intervenire, mi tiro indietro con esaltazione, faccio lo sguardo stralunato e scombino i capelli scrollando la testa come un cane.


Alzo la mano destra, sono un direttore d’orchestra che ha appena completato la sua opera.
“Fermi” grida Roland, “il genio è al lavoro”.
Congiunge le mani incrociando dita con dita e se le porta al cuore. Io continuo la mia traviata sul viso sanguinante del malcapitato che grida come l’Arcangelo Gabriele alla Vergine Maria nel giorno dell’annunciazione.
“Grazie maestro, sono la tua tela” e io, per l’amore che mi lega a Fontana, gli lascio un buco così tra i denti davanti.
Sudato, lo spingo al muro e gli do un titolo, d’improvvisazione: “La realtà è dolorosa, di Fabio Carmelo Santabarbara”.
Ed esco tra gli applausi col disegno di Jhon sottobraccio.

Alessandro Cascio – Da: Tutta la maledetta verità su Escobar – Ep.3

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