Texas Baby – Come scrivere un racconto (Freestyle di Alessandro Cascio)

On 08/02/2014 by alecascio

<<Ti amo ancora, mi disse, e poi cominciò a piangere. Capii subito che stava recitando, specie quando indossò il cappello e iniziò a ballare intonando le note di All that Jazz di Chicago.>>
A. Cascio – Tutta la maledetta verità su Escobar
Da: I Foglietti – Miniromanzi a un euro su www.ilfoglioletterario.it

A cura di Paolo Merenda
Le prime uscite: Gordiano Lupi, Paolo Merenda, Vincenzo Trama, Alessandro Cascio e Bruno Panebarco

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Ieri, appena uscito da un negozio di Via Capuana, noto un tizio frugare dentro la mia auto ferma con le quattro frecce in doppia fila. Ero stato via un attimo e per caso avrò premuto il pulsante sbagliato del telecomando, così non è entrata in funzione la chiusura automatica. Non mi sono fiondato su di lui come un cane, era imbacuccato e lento, aveva uno zaino in spalla e io avevo un paio di scarpe da tennis, una tuta, una boria che potrebbe far fuori un esercito di neonazisti e una catena a portata di mano. L’ho lasciato fare, ho lasciato che s’infilasse il mio portafogli nella tasca e poi l’ho chiamato da una decina di metri.
“Hey” gli ho detto, “posa quello che hai appena preso”.
Pezzo di pane, morto di fame, si sfamerebbe senza rischiare le sbarre se potesse mangiare se stesso e impastare gli arti mozzati con un po’ di farina per non cadere a pezzi. Poco abituato al furto, mette subito la mano sulla tasca, come ad ammettere la colpa nonostante il suo: “Non ho preso nulla”.
“Dai, sei appena uscito dalla mia auto e hai messo il mio portafogli in tasca” gli dico e quando mi avvicino tira fuori la refurtiva e me la porge, tremante come pochi ne ho visti in vita mia.
Ha degli occhi buoni e spaventati, è bello grosso, ma non sembra pericoloso.
Prendo il mio portafogli e lo ascolto ripetere balbettante col suo accento romanesco: “Non ho fatto nulla, dai non ho fatto nulla”.
Neanche per un secondo ho avuto la tentazione di picchiarlo selvaggiamente, di mozzargli una mano, anche perché non tengo mai un soldo nel portafogli, i soldi li tengo in tasca, dove devono stare, dove nessuno può rubarteli. Il portafogli l’ha ideato un borseggiatore per facilitarsi il lavoro. Fa per scappare e lo afferro. Per carità, le legnate ce le ho sulla punta delle dita perché è pur sempre un poveraccio disperato e se non stai attento ti ritrovi un coltello nello stomaco e la tua foto peggiore su Studio Aperto.
“Dove vai”.
“Non ho fatto nulla”.
Metto una mano in tasca e mi strattona con violenza.
Lo afferro per il cappotto e gli allungo dieci euro.
“Stai tranquillo” gli dico, “stai calmo. Non finire in galera per oggi”.
Ma non appena lo lascio, prende i suoi soldi e fugge via, corpulento e goffo, lo potrei acciuffare in un secondo se solo volessi, ma gli ripeto “stai tranquillo, non scappare, stai tranquillo”.
E un po’ mi spiace, la gente sta male, non aveva la faccia di un delinquente, sembrava aver perso tutto da un momento all’altro, aveva le mani ruvide di un lavoratore, un meccanico forse, un fabbro, ma anche un cretino avrebbe capito che era solo uno di noi.
AC – Pezzo di pane 9 Febbraio 2014

Texas Baby

Quel suo vestitino aderente è da solo arte ed artista, le disegna addosso due seni perfetti, le scende sui fianchi come rigagnoli di tempera arancione e dipinge sul volto degli uomini attorno il desiderio di essere migliori di ciò che sono, vecchi alcolisti intenti ad annegare ciò che rimane della propria anima per non sentirla più urlare.
Migliori, sopratutto migliori di me per potermela finalmente strappare dalle mani e sentirsi uomini per un giorno così da potersene vantare per il resto dei loro miseri giorni, perché per essere uomini ci vuole una donna, lo sanno bene, ma non una donna qualunque.
“Un whisky” chiedo al barista, sobrio, cortese, addestrato a rispondere asettico ad ogni meraviglia che ha attorno: “E tu cosa prendi?”
Bonnie: se la pelle fosse di seta, lei sarebbe nuda.
“Quello che prendi tu” risponde.
“Ciò che prendo io lo bevo io, prendi qualcosa per te”.
“Non il tuo, idiota, ma qualcosa di simile”.
Mi guardano storto, i bifolchi, qualcuno sghignazza credendo che un vero uomo non si farebbe mai dare dell’idiota da una donna, ma se sapessero chi è Bonnie realmente…
Quanta gente ha freddato senza neanche guardarla negli occhi, se ne fossero a conoscenza capirebbero che il diavolo è diavolo lo stesso anche se ha buon gusto per il vestiario e per gli alcolici.
“Balliamo” le dico.
“Non c’è musica”
Intono Leadbelly come mi viene e l’afferro per i fianchi.
“Che fai, c’è gente”
“Proveremo a non pestargli i piedi, c’è spazio abbastanza perfino per un Folks Trot”.
Il lento ondeggiare dei nostri corpi fusi l’uno con ’altro attira l’attenzione del giovane biondo e scortese che dopo averci osservato per qualche secondo continua a sbraitare contro uno dei suoi leccapiedi.
Bonnie, non sei uno schianto, sei un tamponamento a catena.
“Se solo potessi guardare con i miei occhi il tuo riflesso” mi dice.
“Vedrei il tuo riflesso nei miei” le rispondo, “perché è questo che siamo, non è così Texas Baby? Siamo l’uno il riflesso dell’altra”.
E se vi siete mai chiesti se un riflesso possa esso stesso riflettersi a sua volta, se fosse o meno un’entità a sé stante, noi ne siamo la prova evidente.
Troppi eccessi, troppe fughe, troppe pallottole vaganti minano la nostra unione. Mi scivolerà via dalle mani un giorno, o perché io non le avrò più attaccate ai polsi o perché lei non avrà più un corpo da tenere stretto a me.
“Se ci dovessimo perdere, Texas Baby, ci rincontriamo ad un passo dalle porte dell’Inferno. Urla sono qui, quando sentirai il diavolo pronunciare il mio nome.”
Senza neanche voltarsi a guardare, tira fuori la pistola dal reggiseno e spara alla faccia del giovane Larry Nicholson, un piccolo borghese corrotto che abbiamo pedinato fin da Blake Lake.
“Non preoccuparti” mi dice, profumata di vaniglia e di morte, “sarò io a chiamare l’appello quel giorno”.
AC – Texas Baby

L’angolo dei libri degli altri.

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La colonna sonora sulla quale si sviluppano le avventure calcistico – sentimentali narrate dal romanzo comprende come momenti temporali La leva calcistica della classe 1968 di Francesco De Gregori e Vado via di Stefano Rosso. Il tono è proustiano, un vecchio calciatore alla ricerca del suo passato, del tempo perduto che ritrova allenando un squadra di dilettanti della provincia toscana: la squadra della sua città, dalla quale è partito molti anni prima per conquistare i palcoscenici nazionali. Le vicende calcistiche sono il sottofondo di alcune storie collaterali che hanno per protagonisti diversi amici, non manca una storia d’amore che viene dal passato, mixata da ricordi legati a infanzia e giovinezza del protagonista. Il calciatore prediletto del vecchio mister è il marocchino Tarik, un ragazzo approdato in Toscana a bordo di una carretta del mare lasciando nel villaggio africano moglie e figli. Sarà il protagonista di un’integrazione razziale, il vincitore morale d’una battaglia contro diffidenza e superstizioni. Non solo sul rettangolo di gioco. Gordiano Lupi, collaboratore de La Stampa, direttore editoriale del Foglio Letterario e traduttore di alcuni scrittori cubani, torna alla sua Toscana per raccontare una storia nostalgico – sentimentale sullo sfondo d’un piccolo mondo antico, tra sogni, speranze perdute e ricordi del passato” (da www.lafolla.it).

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- Cosa c’è amore mio?
- C’è questa sensazione che qualcosa mi manca, c’è che ciò che più mi spaventa è che non so cosa mi manca e se non so cosa cercare non troverò mai niente che mi appaghi abbastanza da riempirmi. C’è che …
Che la gente mi sembra triste quanto me e non ho maestri per apprendere, per imparare ad insegnare e resteranno tristi loro e triste rimarrò anch’io e mi ritornano in mente vecchi ricordi stravolti da una luce diversa ogni volta e gli angoli della mia vita che sembravano smussati mi appaiono a volte spigolosi a volte arrotondati e non capisco quale sia la verità.
- Non sei la prima donna con una croce al collo che incontro a lamentarsi di possedere un’anima.
A.C. – Tre candele

Gran Finale – Roma bella, bella gente

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Il mio libro del mese:
Quando non riderete vi farò ridere io, quando vi rifiuterete di pensare vi aiuterò a farlo senza pesi eccessivi, quando nessuno si uccuperà di voi vi prenderò in custodia, quando le persone vicine a voi non vi ameranno, lo farò io al posto loro. La polisofia e la filotica casciana è stata definita negli anni “geniale”, “folle”, “profonda”, “romantica”, “schietta”, “cinica”. Il libro in questione raccoglie tre anni di lavoro e di 830 pagine di aforismi, tratti da, battute, racconti e skecth. Questa è la versione aggiornata a Febbraio 2013 con 300 nuove pagine. Il libro, nonostante gli acquisti e le critiche positive, non è mai stato pubblicato in modo convenzionale e mai lo sarà, in quanto è strettamente legato all’autore in ogni singolo passo, dal testo, alla forma, alla scelta del prezzo, della distribuzione e della pubblicazione. E’ dell’autore e dei suoi lettori e tale deve rimanere per sempre.
Un ringraziamento a Naspini per la copertina.
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Touch and splat, il fumetto, edizioni ESC/Il Foglio con la prefazione del maestro del cinema Ernesto Gastaldi (sceneggiatore di C’era una volta in America e Pizza Connection) ora anche su:

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