Marktplatz

On 15/06/2015 by alecascio

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Marktplatz

Niente di così strano apparentemente.
Alle 21:27 del 6 Maggio del 1898, Ingrid Klimke, 23 anni, studentessa di medicina dell’Università degli studi di Basilea, morirà, forse.
Tutto dipenderà da come si svolgerà la sua giornata dalle 5:45, ora in cui verrà svegliata dalle urla di Bertold Bleumer, fino alla data segnata su un foglio di carta con una matita e una pessima calligrafia. Bertold Bleumer ha il vizio di cantare “Trittst im Morgenrot daher”, tutte le sante mattine dietro la porta di Ingrid che altrimenti dormirebbe fino a mezzogiorno. Ma lei, quel giorno non si è alzata dopo la serenata, è rimasta coricata guardando l’orologio fino alle 6 e un minuto. Per sedici minuti esatti, Ingrid è stata a fissare l’orologio pur di non alzarsi da quel letto in orario. Poi, appena l’ora è scattata, non ha preso il solito Tè all’arancia, ma ha bevuto un po’ di latte fresco evitando di lavare la tazza come suo solito e come richiede il codice del dormitorio, ma l’ha lasciata dov’era, sporca e profumata dell’essenza del miele della Bottega di Matilde, sicura che quel profumo sarebbe diventato tanfo non appena il latte avesse raggiunto il giusto grado di acidità. Se le previsioni di Ingrid saranno giuste, al ritorno dal dormitorio, quel tanfo sarà un segno di vita e lo amerà.
Ingrid Klimke non si è svegliata infiacchita e pigra, nonostante le sue azioni suggeriscano questo, ma al contrario, in corpo ha un fiume di adrenalina e quella voglia di fare che non ha mai avuto in precedenza. Le sue azioni sono progettate, pensate una per una.
Fin qui, tutto appare singolare, ma se faremo un passo indietro, quel giusto che basta per capire cosa avesse che non va un buon Tè e cosa un orologio puntato sulle 5:45 del mattino, capiremo finalmente Ingrid Klimke. Tutto dipende dalla data scritta a matita su quel foglio di carta e anche, in parte, dalla pessima calligrafia.

“Gettalo via”, disse sorridente Bleumer a Ingrid di ritorno da Marktplatz, “non pensarci. Se avessi saputo non ti ci avrei portato”.
La ragazza era davvero sconvolta nonostante gli inutili tentativi di Bleumer di scuoterla dai suoi pensieri ossessivi.
Si agitò e rispose a tono fissando un punto nel vuoto che si interponeva tra lei e le strade antiche della piazza.
“Qui non si tratta di predire l’amore o la fortuna al gioco”, disse.
“Io non ti avevo detto che avrebbe predetto le solite cose, shatz, ti avevo detto che era una brava veggente, diversa dalle altre” e poi Bleumer le si mise di fronte e la bloccò, smettendo di camminare con quel suo passo ballonzolante e immaturo: “A me ha dato dell’assassino, come dovrei sentirmi?”.
“Ti ha detto solo che saresti stato la causa di una morte”.
“Cosa cambia?”.
“Cambia eccome. Potresti mangiare quella tua banana e gettare le bucce in terra… potrei arrivare io alle 21:27 minuti e scivolarci sopra”.
“Ok allora, non mangerò la banana e tutto andrà a posto. Toglierò il cappello e lo terrò tra le mani, così non lo perderò e non volerà via un regalo di una donna importante come mi ha predetto la vecchia”.
Ribatté seriamente, Ingrid: “Potresti tenere tra le mani anche la mia vita?”
“Vorrei” pensò Bleumer, ma non lo disse, l’abbracciò e basta.

“Gustav, ci sei?” bussò insistentemente alla porta dell’amico, Ingrid.
“Dove potrei essere a quest’ora”.
Il ragazzo si ripulì gli occhi dal sonno e aprì la porta.
“Devi aiutarmi” disse concitatamente la ragazza in evidente ansia. Si mise la mano al petto, contò le palpitazioni e raccontò all’amico la storia della veggente e della sua predizione.
“Sono teorie, Ingrid, non c’è niente di pratico”
Ingrid si avvicinò alla scrivania di Gustav e iniziò a frugare tra le carte inchiostrate di appunti. Le sparpagliò mettendo a soqquadro il certosino ordine dell’amico che cercò di fermarla quando già s’era fermata. Ingrid teneva per mano un manoscritto. Lo lesse ad alta voce.
“Come cambiare l’asse degli eventi, di Gustav Jung”.
Restò con gli occhi spalancati sui fogli e non batté ciglio.
“Credi a quello che scrivi, Gustav?”
“Certo”, rispose il giovane studente: “Sto preparandola per Zurigo, sono certo che a Burgholzli, il Dottor Bleuer capirà cosa intendo e potrà aiutarmi ad avere una sovvenzione. Ma qui, adesso, non posso far niente per te”.
Gustav era smagrito, leggermente ricurvo, anche se lei lo ricordava aitante e dalle spalle larghe. Aveva ancora un bel viso, lo riuscì a scorgere dietro a quegli occhiali tondi e ai marcati segni d’espressione.
“Lavori troppo e con troppo ardore per negarmi di farti da cavia”.
Ingrid sembrò parlare alle pagine, non ne capiva molto, ma sapeva l’essenziale per domandare:
“Gustav, sai come cambiare il corso degli eventi?”.
I giovane le prese dalle mani il manoscritto con delicatezza. Quando la sfiorò avvertì il tremolio di chi ha davvero paura, non si discostò da quel brivido e le restò accostato col braccio per continuare ad avvertirla ancora: era questo a motivarlo più di mille riconoscimenti accademici.
La prese per mano e la fece sedere su una poltrona rammendata, poi le disse di star ferma e non muoversi, nonostante sapesse che Ingrid, di muoversi, non ne aveva benché minima intenzione.

Ingrid Klimke morirà alle 21:27 di quello stesso giorno, forse. Ha come unica alternativa la bizzarra idea di poter cambiare gli eventi dell’amico Gustav e questo non la mette a proprio agio, ma le peggiora i tremori.

Gustav arrivò con un bicchiere d’acqua dal sapore dolciastro, un preparato per quei tremori: “Prendi, devi essere calma per capire di cosa parlo”.
Ingrid bevve e chiuse gli occhi: “Parla Gustav, ti ascolto ad occhi chiusi”.
Il giovane le illustrò la propria teoria fatta di parallele e perpendicolari costruite su assi x ed y, cose che Ingrid non vedeva perché, come gli aveva fatto notare, seguiva le sue parole ad occhi chiusi nonostante non ci fosse ombra di dubbio che quei disegni assometrici non sarebbero stati intesi neanche ad occhi aperti, neanche con quattro occhi in più sulla faccia.
Gustav si accorse del tutto e le chiese se avesse capito la spiegazione.
“Stai illustrando il destino con rette e parallele”, disse lei accennando un sorriso.
“Sì” rispose Gustav felice che i farmaci stessero facendo effetto, “ma non prendermi per matto. Ogni cosa si può spiegare con la matematica, la matematica è filosofia illustrata con dei numeri, niente di più”.
Ingrid poggiò la testa sullo schienale della poltrona e ascoltò.
“Se deviamo l’asse x e non le permettiamo di intersecarsi con l’asse y, potremmo evitare che si formi il punto A”.
Nell’esatto incrocio tra le due linee spiccava evidente la morte di Ingrid o, come la chiamava Gustav, il punto A.
Il silenziò imbavagliò il rumoroso spiegazzarsi della pelle della poltrona.
“In poche parole…” disse Gustav.
“Non sono stupida. In poche parole… se cercherò di cambiare il corso degli eventi fino ad una determinata ora, posso far sì che un avvenimento non accada. E’ questo che cerchi di spiegare con la matematica?”
Gustav si avvicinò alla poltrona e si inginocchiò:
“Proprio così, Ingrid. Se dopo pranzo ti fermi solitamente a Solitude Park, oggi non farlo. Se prendi la prima a destra dopo Schwarzwaldbrücke, oggi prendi la prima a sinistra o la seconda a destra. Se saluti Matilde al passaggio dalla Bottega, voltati dall’altra parte e se hai un appuntamento ad un’esatta ora e sei solitamente puntuale, tu vai con mezz’ora di ritardo. Fai attenzione alle piccole cose, come l’osservare, il camminare, il muoverti, il vestirti, fai tutto ciò che non faresti mai, metti l’arancione al posto del tuo solito nero, non portare il cappello oggi e non truccarti, non gesticolare e parla con chi non parleresti…”.
Ingrid non se lo lasciò ripetere due volte. Fece tutto esattamente come illustratogli da Gustav.
Al sempre piacevole “Ciao Ingrid, ho un regalo per te” di Matilde, le fu difficile voltarsi dall’altra parte.
“Ingrid, cos’hai? Ti ho fatto del male?” le urlò la donna.
Si fermò a mangiare cose che non le piacevano: formaggio piuttosto che carni e insalate e un paio di bicchieri di succo di arancia piuttosto che succo di mirtilli.
“Scusa il ritardo, ho sbagliato strada” disse Ingrid a un Bleumer inquieto che l’aspettava da circa un’ora.
“L’arancione ti dona” le rispose lui, per rompere il ghiaccio.
Quando i due furono finalmente vicini al Reno, Bleumer si fermò e tirò fuori dalla tasca dei soldi per una rosa.
“No, non prenderla, prendi quello piuttosto”.
“L’Oleandro?”
“Sì, lo preferisco”.
Ovviamente non c’era fiore che Ingrid Klimke preferisse alla rosa.
Bleumer le porse l’Oleandro e le rivelò di amarla.
La vecchia veggente le aveva predetto l’amore e poi si era persa in un lungo silenzio.
“Tu perderai un regalo prezioso” disse la donna a Bleumer con un filo di voce.
“C’è altro?”, chiese Ingrid.
“Oh niente” rispose la donna, “che altro vuole che ci sia”.
“La sua faccia dice che c’è molto di più”.
“Non mi occupo di ciò che non mi compete. L’amore e la fortuna sono il mio campo, le altre cose riguardano esseri più grandi di me, gli stessi esseri che mi hanno dato in dono la veggenza”.
Bleumer era divertito, non aveva osservato minimamente Ingrid e le sue mani.
“Allora, vecchia” le disse il giovane porgendo un foglio e una matita strappate dal suo quaderno di appunti, “allora scrivilo”.
Non ricevette risposta, la donna visibilmente scossa cominciò a perdere la pazienza e chiese al figlio di accompagnare i signori all’uscita.
Ingrid l’afferrò per un polso e la osservò fissa in quegli occhi spenti e privi d’anima. Bleumer, portato via a forza fuori dal tendone, urlò all’amica di lasciar perdere quella pazza.
“Bambina mia, sei così candida e bella” disse la veggente che mai aveva visto una ragazza così giovane crederle ciecamente da finire in lacrime.
“Mi dica cosa ha visto, la prego”.
La donna scrisse sul foglio una data e la mise in tasca alla ragazza.
“Non posso fare altro” le disse, poi l’accarezzò e la lasciò andar via.

Fino a quell’ora niente s’era avverato ma l’amore al calare della sera era il giusto equilibrio tra le assi, l’equilibrio che doveva essere modificato, secondo il parere di Gustav.
Ingrid chiese l’ora spaventata.
“L’orologio” esclamò Bleumer, “credo di averlo perso”.
Ingrid le aveva regalato quell’orologio alla festa annuale di Kasernenstr.
“Troviamo quell’orologio” disse Ingrid che aveva assistito all’avverarsi delle due veggenze l’una a pochi istanti dall’altra”.
“Non puoi cercare un orologio così piccolo in una piazza così grande. Marktplatz è piena di gente fino all’orlo e la metà dei questi sono ladri e furfanti”.
“Allora non amarmi”, gridò Ingrid in lacrime.
Bleumer non dubitò dell’amore di lei, nonostante le parole di Ingrid fossero, a orecchie estranee, dure da poter indurre a un tale pensiero. Capì che il problema era un altro. Diventò, quindi, credulone anche lui. Cercò di non vedere in lei la donna a cui avrebbe voluto chiedere la mano, quell’ideale di donna d’amare, madre dei suoi figli e ottima amante.
“Non posso, non amarti”, disse adesso quasi lacrimante nel vedere Ingrid affannarsi per uno stupido orologio, “non so come si fa, non si possono mutare le emozioni”.
“Sarai la causa della mia morte se lo farai. Ricordi? E’ ciò che ha scritto la vecchia”.
Al centro di Marktplatz, un uomo vestito di bianco seguiva il corteo di macchine del procuratore Heinrich David. Poco distante, la veggente s’era seduta su una panchina e aveva alzato la mano destra per attirare l’attenzione dei due giovani.

Alle 21:26, le auto si mossero verso la prima curva. La veggente seduta osservava Bleumer e Ingrid quasi impaziente. A dieci secondi dal ventisettesimo minuto della ventunesima ora del 6 Maggio 1898, l’uomo con il vestito bianco infilò una mano all’interno della giacca e tirò fuori una malandata pistola. Ingrid guardò il grande orologio e d’un tratto smise di correre. Un paio di secondi e si ritrovò in terra, viva quel tanto da osservare il marciapiede inondarsi del suo sangue.

La porta dell’Uffucio del Cancelliere Heinrich David restò aperta dopo l’annuncio della visita del Signor Carl Gustav Jung.
“Fallo entrare Meyer” disse al guardaspalle. Poi si piegò con difficoltà e prese dal cassetto due sigari.
Gustav entrò e si sedette senza neanche salutare. Accortosi in seguito della maleducazione, chiese scusa.
“Fumi?”
“Non solitamente. Comunque lo farei se non fossero morte tre persone per causa mia”.
“Due” corresse il cancelliere, “uno era solo un assassino indegno di ogni parola che lo accosti ad un essere umano”.
Si accese uno dei due sigari e rise: “Va forse contro la sua stessa teoria, Signor Jung? La causa non è lei, ma il destino”.
“E chi le dice che io non faccia parte di quel destino?”.
Il Cancelliere si alzò dalla sedia e si avvicinò al giovane.
“Quando la vecchia predisse la mia morte, pensai a come sfuggirne per giorni, ma quando il Dottor Bleuer di Zurigo mi mostrò il suo manoscritto, non ebbi alcun dubbio che oggi sarei stato qui, a fumare un sigaro e a parlare con lei. E questo, mi dica Signor Jung, non le fa onore?”.
Gustav si alzò di scatto e afferrò il cancelliere per il bavero. Meyer fece un balzo per fermarlo ma Heinrich David gli fece cenno di fermarsi.
“Li ho ingannati. Ho modificato i comportamenti di quella ragazza per portarla dove non avrebbe dovuto essere, l’ho uccisa io, sono stato io a fissare l’appuntamento a Bleumer ed Ingrid al centro della Marktplatz, ho convinto io la vecchia a dire delle falsità sull’ora della morte della ragazza … e lei vuole elogiarmi? Era l’ora della sua morte, Ingrid non c’entrava nulla”,
Il cancelliere, più grosso e alto del giovane Jung, scrollò la presa e spinse il ragazzo sulla poltrona.
“Quel suo disegno, ragazzo, quel suo diagramma cartesiano o come diavolo si chiama, potrebbe fare molto di più che salvare una vita, potrebbe salvare il mondo intero. Lei è in grado di cambiare il corso delle cose a suo piacimento. Avremo un potere enorme e se non finirà nelle mani sbagliate sapremo come sfruttarlo”
“Avrei potuto salvarla”
Il cancelliere chiamò Meyer e gli ordinò di accompagnare Gustav fuori dall’Ufficio.
“Nonostante i modi rudi e la sua mancanza di educazione, la raccomanderò per la Burgholzli di Zurigo. Il Dottor Bleuer sarà lieto di lavorare con lei” e la porta si chiuse coprendo l’immagine del cancelliere, chinatosi nuovamente sulle proprie carte.
“L’ho fatto solo per la ricerca” gridò Gustav ad una porta chiusa e di nuovo gridò la stessa frase, trascinato a forza, lungo tutto il corridoio: “L’ho fatto solo per la ricerca”.
Dalla prima stanza a destra, lungo il corridoio del dormitorio di Strahlen, un tanfo di latte acido, ricordava che Ingrid Klimke, non aveva adempito al suo dovere di ragazza laboriosa ed educata per riuscire a ingannare il destino. Da qualche parte lungo le strade di Marktplatz, un giovane studente di medicina sembrava sentire quel tanfo osservando una chiazza di sangue su un marciapiede. Disgustato, si accostò a un lampione e piegatosi in due, vomitò la cena sulla piazza.
Poi prese dalla borsa un manoscritto e senza fretta accartocciò le pagine una ad una e le gettò nel cassonetto.

Alessandro Cascio

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