Le donne africane

On 15/06/2015 by alecascio

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Le donne africane sono come gli alberi, hanno corpi forti e braccia minute, appartengono alla terra, non al cemento e per questo andrebbero protette.
Non importa che età abbiano, avranno per sempre curve da donna perché ogni loro movimento è tortuoso: quando camminano, quando ti abbracciano, quando poggiano i gomiti su un bancone, quando per ore rimangono sedute e con le mani rigirano il bicchiere.
“Tu l’hai mai vista una tigre, Luisa?”
Piangono tanto quanto ridono, il loro viso tregua non ne ha avuto mai.
“Non ho neanche visto l’Africa” mi risponde mentre io le guardo i monti Lubombo e immagino un fiume Lipompo attraversarle il desertico Mozambico che chiude a morsa tra una coscia e un’altra e che una volta, prima che arrivasse dall’occidente questa moda assurda di rasare al suolo l’armonia di un bosco, era rigoglioso come l’Eden. La penso come si pensa a un diavolo, le parlo come si parla a un santo.
“Non hai mai avuto voglia di andare?”
La immagino cantare e ridere, sudare e piangere, la immagino in rivolta o rivoltata da padroni prepotenti, eppure lei non è nulla di tutto questo, è solo cemento come me e quel tizio che la osserva come si osserva un puttana e che serve ai tavoli svogliato. Qui si fa chiamare Cameriere.
“Sono italiana, sono nata in Italia, non vedo perché dovrei”.
Perché c’ha l’Africa spalmata addosso, ma non affondo da impregnarle l’anima, perché i suoi capelli ballano la Yabara ma li stordisce con una piastra al giorno.
Poi batto i polpastrelli per darle un tempo ma non risponde, non canta neanche, sembra che non senta le tribù che fremono nelle mie dita e vibrano nelle fibre in legno del tavolino tondo.
La notte in Africa bevono e scopano, lo fanno come fosse normale, le donne lo dicono in giro e anche se tutti sanno, gli uomini non giudicano, anzi, proprio per la sensualità tanto vantata, sperano che un giorno una di loro li sposi.
E invece Luisa me la dà nascosta in una casa di città, senza la luna, il mare, le stelle, senza i serpenti a darci la strizza e la musica con la quarta battuta in levare, di un locale aperto fino a tardi e che ogni notte battezza nuove vite che il giorno dopo verranno abbandonate.

A. Cascio

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