Il teorema di Assan

On 15/06/2015 by alecascio

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L TEOREMA DI ASSAN

Mi accovaccio sul mio culo come una gallina covante per assistere alla prima lezione di Assan. Ha insistito tanto perché assistessi e io ho fatto di tutto per riempirmi d’impegni e non esserci, ma non riesco a dormire più di dieci ore di fila, mi trasformo d’un tratto da irritante a irritabile e mi sento come un Panda nelle foreste del Sichuan. Mi chiedo cosa cazzo ci faccia un tenero peluche semovente in mezzo a tanti efferati predatori.
L’estinzione è un errore di valutazione, ma noi facciamo di tutto per esaltare i fallimenti di Dio.
“Sei tu ad aver ispirato la mia teoria, se non ti avessi conosciuto forse non sarei qui” mi dice Assan indicando a fine frase, il punto esatto in cui poggiano i nostri piedi.
Se non mi avesse conosciuto sarebbe chino nel camerino di una Boutique a parlare da solo. Per sua fortuna ho preso in affitto questo locale decadente per farne una specie di scuola per idioti, ho abbattuto le mura creando un meraviglioso open space che soddisfa pienamente uno di quei bisogni moderni di spazio. Vivo in bettole e marciapiedi da quando ne ho memoria, fuori è pieno di spazio, c’è un bagno ad ogni cespuglio, un letto ad ogni prato e una cucina ad ogni falò. Una casa grande non è di chi desidera spazio per sé, ma di chi vuole toglierne al mondo.
“Vedete quel foglio bianco che avete di fronte?” chiede Assan, “adesso con la matita rossa disegnate un puntino rosso.”
Il mio foglio di carta è già pieno di piccoli cazzetti a forbice che svolazzano con ali d’angelo su una foresta d’alberi di fica, rappresentati, nel mio astrattismo informale, come noci di cocco tailandesi con quella loro particolare crepa laterale. E’ senza dubbio una delle mie migliori opere da banco, così decido di tenerla per i posteri e prendo un altro foglio.
“Ora aggiungete un puntino con la matita nera per ogni donna che avete baciato appassionatamente o con cui avete fatto sesso”.
Mentre tutt’attorno le patetiche teste di cazzo che provvedono al mio sostentamento se ne stanno a braccia conserte, io mi applico sfogliando la rubrica del mio cellulare, gli amici di Facebook, Google Maps e l’alfabeto per essere sicuro di non scordarmene neanche una.
“Hai finito?” chiede Assan.
“Le seghe? Quelle valgono come sesso?”
“Cosa vuoi che ne sappia, segna quelle che vuoi e andiamo avanti”.
“Segno quelle che mi hanno fatto venire, per essere sesso deve esserci almeno un orgasmo su due”.
Questa mia nuova teoria mi ammorbidisce il viso con un naturale sorriso che probabilmente è quello che sfoggerei a un’eventuale notte degli Oscar durante la premiazione per il miglior film ispirato a una teoria filosofica. Arriverei primo di fronte a Edonismo e Misantropia dei quali registi verrebbero da me ringraziati di fronte alla platea per la splendida rappresentazione cinematografica di due temi a me cari.
“Chiedetevi adesso cosa ne è stato di ognuno di quei puntini neri. Le avete più viste? Come stanno e quali avversità hanno dovuto superare per rimanere a galla?”
Alzo la mano, stiro il braccio completamente e lo agito, non mi si può non notare, sto praticamente creando un effetto Butterfly che tra una decina di anni spazzerà via qualche asiatico dal pianeta.
“Le puttane. Valgono le puttane?”
Assan mi si avvicina, impugna la matita nera come fosse un coltello affilato e mi urla in faccia: “Vuoi capirlo o no che non stiamo giocando a chi ce l’ha più grosso? Non è questo il senso.”
Preso di rabbia e forse da un leggero calo di zuccheri comincia a riempire il mio foglio di puntini con la velocità di un telegrafo ringhiandomi addosso alitate d’odio e frustrazione.
“Altri tre” dico.
“Cosa”, risponde.
“Mancano tre puntini ancora e abbiamo aggiunto anche le puttane”.
Salto il pezzo in cui Assan cerca di regolare il suo battito cardiaco con una lenta respirazione diaframmatica e lo proietto subito sul pulpito nel bel mezzo del suo poema shakesperiano.
“Eppure, nonostante non le ricordiate, avete condiviso con loro il massimo dell’intimità, mostrandovi vulnerabili, abbandonando ogni inibizione, avete chiuso gli occhi sicuri di essere protetti e soddisfatti seppure spesso foste poco più di un estraneo”.
Se hai avuto più donne di quanto tu ne possa ricordare sei un pessimo amante. Se non le richiami alla mente con il loro vero nome ogni tanto, sei forse fisicamente prestante, sei sessualmente attivo, ma non puoi ritrovarti nel greco Mao, desiderio, e neanche nel latino amans-ntis, colui che ama.
“Sei piuttosto colui a cui piace scopare e ci sono parole apposite per questo: depravato, libidinoso, lussurioso.”
Chiude il suo libro, Assan, ci esorta a pensare alle donne che si sono concesse a noi, una per una, puntino dopo puntino. I miei, li guardo sul foglio, formano una sorta di pianeta che trova il fulcro nel puntino rosso: me.
“Eppure ognuno di quei puntini neri è a sua volta un puntino rosso attorno al quale gravitano altri puntini neri. Per alcune voi siete tra i pochi, per altre vi perdete nella fitta distesa punteggiata dell’amore amnesico”.
Già, il mio alfabeto di donne mi ha riempito l’anima come un poliziesco, quando invece avrebbe dovuto essere un colossal natalizio o un Ultimo tango a Parigi.
“Si ama in pillole fin quando non si guarisce” dice Assan e io, la sera, mi ritrovo con una ragazza poco più che ventenne al tavolo del mio monolocale, con una candela accesa e tante cose interessanti da dire.
“Voi non siete il cento del mondo, siete la Luna con vista prospettica sulle stelle che di voi non conoscono neanche l’esistenza”
L’unica donna con cui andare è quella che ricorderete per sempre.
Mi sono pompato i pettorali, ho letto un libro sugli Spirituals americani e mi cimento imperterrito ad elogiare le origini del blues. Un paio d’ore dopo busso alla porta di Assan che mi grida di andarmene.
“Il compito” dico, “non era completo”.
“Quale compito”.
“Quello di matematica dell’amore, quello dei puntini”.
“Non era un compito, imbecille. Infilalo nella fessura e vai via”.
Nonostante la sua indelicatezza aspetto di fronte la porta e gli faccio notare il puntino azzurro appena aggiunto.
“Cosa sarebbe?”
“La X” rispondo.
“Non vedo nessuna X”
“No, è la lettera che mancava. La X”.
Xana, tra tutte le donne della mia vita è stata la più difficile. Si è lasciata fare di tutto dopo due soli bicchieri di vino e due risate sul video di una bambina che spaccava le noci con la fronte, ma provateci voi a trovare una donna che inizi per X. Per quanto ne possiate avere, credetemi, completare l’intero alfabeto è cosa complicata, non da tutti. Io adesso so come ricordare per sempre una donna, come tenerla a mente per il resto dei miei giorni. Xana: lo ripeto da quando l’ho conosciuta come una litania tibetana.
Adesso provateci voi, prendete un foglio bianco e cominciate.

Alessandro Cascio

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