Il Torneo

On 14/07/2015 by alecascio

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IL TORNEO
tratto da una storia vera, di pochi minuti fa

Dannato Kein, con quella tua faccia da schiaffi in bella mostra. Mi vedevo già in Cadillac col mio Stanton legato al collo a gridare “yahoo” per le strade della California. E invece Kein, che da qualche ora se ne stava con le punte dei piedi verso il burrone aspettando di perdere l’equilibrio, ha fatto un balzo indietro e io sono precipitato nel vuoto assieme ai miei sogni di gloria.
Un grosso torneo per chi negli ultimi tornei di Poker si è classificato tra i primi dieci. Piccoli break da pochi centesimi per ammazzare il tempo quando non sai che fartene della vita, che ti regala piccoli sprazzi esagerati, da romanzo, intervallati da calme piatte che ti costringono a inghiottire il bolo della follia.
Centocinquanta euro a testa, duecentocinquanta anime divise in cinquanta tavoli per un poker a cinque carte, il nostro, nostrano, nostromo di tutti i poker del mondo e ormai per pochi nostalgici.
In sei ore io, Kein, Garcia Lorca e Gipi facciamo fuori duecentotrenta persone. Arranchiamo sulla sedia: ci abbiamo cenato su quel tavolo da poker, ci abbiamo quasi dormito, ci siamo incrinati una costola accampati su un lato della sedia da studio, ci siamo un po’ incurvati la colonna vertebrale, ma quando il banco chiama gli ultimi cinque tavoli sappiamo che manca poco e che i ventimila euro in palio sono vicini. Io me lo sento, questa volta non posso sbagliare, qualcosa mi ha sussurrato: è il tuo turno per toccare il cielo d’America e nel delirio spegnerlo come fosse un’ abat-jour. Droghe, alcol, donne e velocità. Incontrerai la gente più strana che tu abbia mai incontrato se giocherai bene le tue carte: e sono cinque, pessime sempre nelle ultime cinque mani.
Dopo un tentativo di azzardo da parte di Garcia, capiamo tutti che ci sarà da sudare, che nessuno butterà i suoi soldi in mani morte, tutti aspettiamo un punto servito e quando mi ritrovo con soli due otto e tanta immondizia di contorno, non penso che quella sia “la mano dal cielo”, ma una come tante. Il gioco è morbido però, leggero e anche due otto vanno rischiati. Cambiano una carta a testa e io ne tolgo tre.
Kein: che tua moglie, i figli di tua moglie e tutta la tua stirpe cada in disgrazia per non aver saputo gestire il gioco e aver contato sulla fortuna. La fortuna è per le vittime, i guerrieri combattono. Sono stato io ad agevolarti durante tutto questo tempo, sette ore di gioco e ti ho risparmiato un mucchio di volte per poter sbattere fuori i feroci come Cluster e Porcellina. Un poker di otto mi apre la strada per eliminare almeno Garcia che da qualche tempo comincia a sentire la pesantezza del ticchettio dell’orologio, del rumore sordo che ha la vacuità del denaro quando non sai come spenderlo. Butta sul piatto decine di euro di bluff senza motivo. Ha perso il senno, come ogni soldato quando la battaglia si prolunga.
Tu non eri nei miei piani, lui con un full di regine era la vittima designata.
Mi spingo oltre, me la gioco con Garcia che continua a rilanciare ignaro di starlo facendo con un uomo che ha quattro carte uguali tra le mani: un coltello affilato contro un fucile a pompa.
Quando mancavano poche mani alla volata finale, Kein mette tutto ciò che ha sul piatto e quel poker che m’era costato caro fino ad allora diventa piccolo e insignificante di fronte alla sicurezza di un “tutto quanto”.
Penso che o è disperato o fortunato. Comunque sia, il suo rilancio tuona come una palla di cannone sulla mia testa.
La legge dei pokeristi dice che il vero poker arriva servito, se cambi tre carte e ne entrano due probabilmente sei arrivato al capolinea. La legge non sbaglia, Kein mi presenta quattro Jack serviti e mi lascia a un palmo dalla mia decapottabile rosa che svanisce mentre tento di sfiorarla. La mia testa torna nuda, se ne va in fumo il mio cappello preferito e il Sole di Santa Monica diventa un nodo in gola.
Kein: solo se vinci non sei un perdente e non ce ne faremo nulla della nostra buona posizione in classifica. Non guardare chi hai sconfitto, guarda solo chi dovrai battere. Tu non ce la farai mai da solo contro Garcia, hai eliminato il nemico migliore che si possa avere. Ti avrei portato sul podio almeno, ti avrei difeso come avevo sempre fatto fino ad allora. Avresti potuto puntare qualcosa in meno, non sarei andato oltre con te, ti avrei risparmiato ancora e ancora per lasciarti andare con una dolce morte adagiandoti nell’Olimpo dei pokeristi.
E adesso Garcia Lorca ha ventimila monete da un euro nel suo salvadanaio, una moglie isterica, tre figli incapaci e una casa arredata in stile antico che lo invecchia di dieci anni ogni volta che torna da lavoro.
Noi, giovani per poco ma ancora belli, avremmo potuto calcare le scene di Hollywood se avessimo atteso un istante, ma il peggio di essere giovani, Kein, è che si è troppo stupidi per capire le proprie potenzialità.
Che Dio ti maledica, io lo sto facendo da ore ormai, pensano al culo grasso sul divano di Garcia che non sa neanche quanto possiede: il denaro non ha senso se hai perso la libertà.
E come insegnano i clochard sui marciapiedi del mondo: non te ne fai un cazzo della libertà se non hai un soldo in tasca.

AC – Il torneo

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