Il gelataio

On 22/05/2016 by alecascio

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Le diedi uno schiaffo e lei mi porse l’altra guancia. Gliene diedi un altro e ancora mi porse la guancia. La destra, poi la sinistra, la destra, la sinistra e io continuai a schiaffeggiarla per insegnarle che l’amore per il prossimo non è il modo migliore per difendersi.
“E’ inutile che porgi l’altra guancia, continuerò a schiaffeggiarti”.
“Lo so” disse masticando il proprio sangue, “ma forse se non lo facessi così forte” balbettò lacrimante, “riuscirei a tenere la testa ferma, non credi?”.
Io e Paulina una volta ci amavamo, ci amavamo sul serio come si amano nei film di Hollywood ma poi ci tradimmo a vicenda proprio come si tradiscono gli attori che interpretano le storie d’amore nei film di Hollywood. Non è che non ci piacessimo a vicenda, ma c’era un sacco di varietà al mondo: la bionda, il biondo, la maggiorata, la modella anoressica, il fusto, l’intelligente, la timida e sia io che lei ci sentivamo come quel tizio che va in gelateria e prende sempre la coppetta al limone. Fosse per lui, il gelataio non esisterebbe neanche, ci sarebbe al suo posto una signora obesa che versa limone e zucchero in un contenitore per lasciarlo raffreddare in freezer. Niente gusto gianduia, puffo, caramello, stracciatella, panna cotta, tartufo, maracuja e se noi siamo il gelato, il gelataio è Dio, un’entità che ha miscelato per secoli latte e frutti, spezie e aromi per mostrarci l’interminabile composito di sapori e odori del sesso.
E io lo ricambiavo con un “no, grazie per essersi impegnato così tanto e di aver studiato a lungo, ma vorrei solo una coppetta al limone”.
Immagino la faccia di Dio alla mia richiesta, la sera, tornato a casa si sentirebbe frustrato, inutile.
“Allora lo hai fatto per Dio?” mi chiese Paulina, “sei diventato cristiano tutto d’un tratto”.
Non tutto d’un tratto, lo sono diventato man mano nel tempo, sempre un po’ di più ogni qualvolta mi servisse una scusa per giustificare le mie azioni, l’ho trovato proprio nel modo esatto in cui è stato creato.
Lasciai Paulina sul letto con quel suo muscoloso giovane che aveva portato in casa per farmi ingelosire, telefonai alla mia amante che scopavo da così poco tempo da non meritarsi neanche un nome e le dissi di farmi compagnia perché avevo avuto una serataccia. La portai a prendere un caffè in un bar all’angolo di quella ch’era stata casa mia e in cui non avrei mai messo più piede.
“Non prendo il caffè a quest’ora” le dissi quando ordinò due espresso, “era solo per avere compagnia”.
Mi diressi verso il bancone dei gelati e chiesi un cono con Kinder Pinguì, Mars e Bananapera.
Il gelataio mi diede una coppetta al limone.
“Le avevo chiesto …” e di colpo mi accorsi della sua quinta di seno, delle sue labbra rosse e dei suoi splendidi occhi blu.
“Dio, sei come ti ho sempre sognato”.
“Non direi proprio” rispose Dio, “ho queste sembianze perché mi immagini così, ma di solito vado in giro con un triangolo in testa e senza treccine alla Lolita”.
Poi smise di miscelare gusti con nomi di marche di dolciumi e attori e si chinò sul bancone mostrando l’abbondanza della natura nella sua forma basica: tonda come il sole, le stelle, le galassie, gli atomi, i quanti, la terra.
“Dì un po’, hai mai assaggiato il gusto limone?”
“Ho assaggiato il mela-mango-lime”
“Ho detto limone, il gelato originario, il padre di tutti i gelati, quello che le nonne facevano in casa quando ancora esistevano le nonne, quello che le mamme compravano per strada quando ancora esistevano le strade. Lo hai mai mangiato?”
Gli dissi di sì, poi di no, era passato tanto tempo da quell’ultima coppetta al limone forse o forse non l’avevo mai mangiato, considerandolo privo di fantasia.
“No, credo di no”.
Me ne diede una, grossa, strapiena e mi chiese di assaggiarla.
“Cos’è, una specie di insegnamento religioso?”
Ne presi un cucchiaio, lo misi in bocca e lo sputai subito dopo.
“Sa di piscio acido congelato”.
Fece una smorfia. Mi pulii la lingua con un tovagliolo e ci misi un minuto per togliermi l’espressione schifata dal viso.
“Non era così che doveva andare”.
“E come sarebbe dovuta andare?”
“Com’era scontato che andasse, Diavolo. Tu dovevi assaggiare, dire che ti piaceva, capire che in realtà la semplicità nasconde il vero sapore e tornare da Paulina. Poi io sarei tornato in Paradiso e avrei continuato a dare insegnamenti in giro per il mondo”.
Gli presi la mano, morbida e senza unghie lunghe proprio come la volevo, puntai un dito contro la mia amante, contro il personale, contro il bar e le strade e tutto scomparve come per magia. Ci ritrovammo io e lui, una venere col naso alla francese timida e sorridente, su un prato verde.
“Non prendertela” gli dissi, “non è colpa tua”.
“E di chi, allora? Dove ho sbagliato?”
“Non hai sbagliato nulla, è che nonostante tu sia Dio, sei solo il personaggio di contorno di una storia scritta da uno scrittore che in questo momento sta battendo al computer tutto ciò che gli passa per la testa. Sono io il protagonista, non tu. E’ per questo che hai le sembianze di una fica uscita da pornohub. Tutto ciò che vuole che succeda succede e per tua sfortuna hai trovato Lui, lo scrittore che non gliene frega un cazzo delle belle morali o di far breccia nei cuori dei lettori. A lui piace la fica di diverso gusto e colore, a me piace la fica di diverso gusto e colore, lui vuole farmi schiaffeggiare Paulina per chissà quale impulso notturno, io schiaffeggio Paulina.”
Si fece leggero, si fece santo, poi prete, poi uomo e infine donna, con una voce da bambina, lieve quasi sorda ma piacevole e mi abbracciò. L’abbandonai sul letto verde e la guardai.
“E ora, cosa ha in mente di farci fare?”
“Credo stia tentando di concludere per andarsi a rullare una sigaretta, tutto qui”.
“E che finale troverà?”
La spogliai di fretta, perché erano le 3 del mattino e Lui era stanco di scrivere. Nuda mise una mano in volto.
“Proprio così” dissi, “del resto hai mai visto un racconto che si conclude con uno stronzo maschilista e violento che si scopa Dio su un prato verde?”
E con me che le venni dentro fini il racconto, mi svuotai completamente tra le sue gambe sicuro che non ci sarebbero state conseguenze perché nella scrittura non c’è nulla di già scritto ed è per questo che Lui esiste, perché Lui decide cosa è meglio per me come se fosse me e a volte penso che in fondo siamo quasi la stessa persona.

Alessandro Cascio – Il gelataio

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