Il lustrascarpe di uno dei migliori locali d’America (di A.Cascio) – Il racconto, il corto di Urban Apnea e le illustrazioni di M.Ravasio

On 07/10/2017 by alecascio

Il Lustrascarpe di uno dei migliori locali d’America (La leggenda del Lustrascarpe)
di A.Cascio

Corto a cura di Urban Apnea, illustrazioni di Miriam Ravasio

L’avete mai sentita la storia di Paul Metista? Se non l’avete sentita non siete mai stati nei migliori locali americani o forse non siete ma stati in America. Potrebbe anche darsi che siate sordi o magari pensate che i migliori locali americani scintillino di luci blu e verdi e abbiano due tizi di colore in giacca all’entrata a controllare come sei vestito. No, vi sbagliate, io non parlo di quei locali americani, quelli per me sono i peggiori, vi sto invece raccontando di posti come il “Monkey Mou”, il “Tacoma Frank’s Spirits”, il “Tommy & Conny Villani”, quelli che ti servono la colazione su un piatto di ceramica graffiato e strausato e ti ci schiaffano sopra patatine e salsa, spezzatino di pollo e tre uova, augurandoti una buona colazione dopo averti stappato una Budweiser ghiacciata. Quelli sì che sono locali! Quelli sono l’America, amici, e te lo ricordano con tanto di bandiera a stelle e strisce e slang di quello veloce e tutt’attaccato. Ovviamente anche lì ti fanno un sacco di domande come i tizi neri dei peggiori locali, ma quando questo succede tu sei già entrato da un pezzo e sei seduto al bancone aspettando il momento giusto per infilare dieci dollari nelle mutande di quella sgualdrina che vi sventola il sedere in faccia scalciando sul rock degli Aerosmith.
“Da dove vieni amico?” ti dicono.
“South Lake.”
E poi ripetono quello che tu dici: “South Lake, già” e bevono un sorso di birra. Di solito ognuno di loro ha un parente, un amico o una puttana che li ha scopati proveniente dal posto da cui voi dite di provenire. Non importa se siete cinese, europeo, africano o del sud della California, quelli, belli miei, una cosa da dirvi riguardo le vostre parti ce l’hanno sempre, anche se non si sono mai mossi dal loro quartiere.
“Già, già, South Lake”, disse il tipo tutto muscoli e con una camicia rosa che non riusciva a portare con disinvoltura, quasi avesse addosso un frak.
“Mi sono scopato una di South Lake! Cosa cazzo ci fai a Mentone, amico?”
Non si deve per forza rispondere, è ovvio, ma se non lo si vuole fare, allora me lo chiedo anch’io: cosa cazzo ci fate a Mentone da Tommy&Conny Villani?
“Sono un lustrascarpe.”
Essere un lustrascarpe non è un buon motivo per starsene a Mentone e neanche per stare seduto su una seggiola al bancone di uno dei migliori locali americani ma … noi stavamo parlando di Paul Metista all’inizio: non è così? Bene, il lustrascarpe in questione è proprio lui, mentre il tizio che fa le domande, invece, faceva Monsoon di cognome.
Rideva, Monsoon, sembrava avesse ingoiato un San Bernardo e che quello cercasse di uscire dal suo stomaco:
“Ma che cazzo di lavoro è, amico? Mi stai prendendo per il culo forse?”
“No” disse Metista, “prendo due dollari, uno per scarpa.”
Monsoon aveva zittito il San Bernardo da un pezzo, anzi, lo dissetava con tanta di quella birra che rischiava di annegarlo. Fece un mezzo giro con lo sgabello mostrando gli stivali e allungò le gambe:
“Fammi camminare per vie luccicanti, piccola fiammiferaia” disse.
Paul Metista era sempre composto, educato, non si scomponeva e seppure gracile, non sembrava avere paura di nessuno.
“No, non così” disse e poi prese la sua valigia marrone di pelle, la aprì e tirò fuori uno straccio dello stesso colore della valigia. Con la sua insolita gentilezza disse:
“Prego, signore, poggi qui il suo piede destro.”
Monsoon lo fece, una bella lucidata alle scarpe gli andava bene, con tutto quel fango che c’era in giro in quel periodo di piogge.
Così Metista iniziò, lo fece per bene il suo lavoro, così bene che quegli stivali da cow boy brillarono come una scarpetta di vetro. Appena finito, Metista disse al cliente di stare attento a dove avesse camminato da quel momento in poi.
“Se becco una pozzanghera, bello mio, vengo a cercarti e me li lustri di nuovo, gratis.”
Ovviamente, vedendo un ragazzo in ginocchio a lustrare le scarpe a un camionista, tutto il locale aveva dato un’occhiata a ciò che stava succedendo. Alcuni si erano fatti quattro risate, altri avevano preso il giovane per matto, altri ancora erano tentati di farsele lustrare anche loro, le scarpe, ma chissà se le scarpe da tennis le lustrava.
“No, non è per quello che te lo dico”, disse Metista, “è che adesso devi stare attento a dove vai, per la tua incolumità.”
Come avrete capito, Monsoon era un poco di buono, ma di quelli stolti. Si vedeva da come si agitava quando non capiva il perché delle cose. A un tipo come Monsoon non puoi dare del “nichilista” o del “cinico”, perché lui quelle parole non sa cosa vogliano dire e siccome è uno che ha la puzza sotto al naso, te le dà di santa ragione, così come stava per fare con Metista.
“Altrimenti cosa mi fai?” chiese Monsoon.
“Io cosa posso fare a uno come lei, così grande e grosso? Gliel’ho detto soltanto perché adesso le sue scarpe andranno dove è giusto che lei vada. Lo ha chiesto lei.”

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Se siete mai stati nei migliori locali d’America, saprete bene che lì la gente non si fa mai gli affari propri, c’è gente che in quei posti ci va per seguire lo sceneggiato della vita altrui, ma spesso si ritrova ad ascoltare delle repliche, come quella del vecchio Barnaby e i suoi avvistamenti UFO o quella di Jack e le sue mille donne in giro per il mondo. E poi c’erano le liti di Tommy e Conny o le lamentele dei più giovani che dai quei posti con quei mestieri duri volevano scappar via. Ma col tempo tutto diventava monotono, già visto, e quindi potete immaginare quale festa fosse l’arrivo di uno straniero, specie se strano come Metista. Tutti erano rimasti a guardare in silenzio aspettando la risposta di Monsoon che di solito era, per così dire, corporale.
Avevano tutti i piatti mezzi pieni e le birre mezze vuote. Le birre sono sempre mezze vuote per quelli che frequentano i migliori locali d’America che, essendo per la maggior parte allevatori, di cibo ne hanno a volontà: quello che manca è un po’ di novità, di movimento, di vita. Così Tommy aveva pensato che, se proprio dovevi entrare al suo locale, dovevi prendere almeno un menu completo, altrimenti fuori.
Il barista aveva assistito alla scena e aveva fermato Monsoon e la sua rabbia mostrando le sue scarpe:
“Puoi pagare il menu completo, ragazzo?”
A dire la verità Metista vestiva pure bene, ma dava l’impressione di non avere un soldo nonostante i modi aristocratici e la bombetta che aveva riposto sul bancone non appena entrato, per educazione. Gli altri erano rimasti con i loro cappellini dei Lakers, degli Yankees, dei Boston Celtic e non si erano mai sognati di levarli, anzi, fosse stato per loro quel cappello se lo sarebbero cuciti in testa. La visiera dava sempre la sensazione di distacco, ti portava a vedere le cose a metà e ti nascondeva gli occhi. Il cappellino, per chi vuole stare tra la gente senza stare con la gente, era l’indumento ideale. Per Metista sembrava essere invece una questione di eleganza, sia l’indossarlo che il toglierlo. Però, vedete, il barista si era fatto due conti e aveva pensato che uno che fa il lustrascarpe non potesse guadagnare poi tanto e anche se due dollari erano un bel gruzzolo per una lisciata ai piedi… chi portava ancora scarpe da lisciare?
“Veramente ho solo i soldi per un caffè” rispose Metista.
“Mi spiace, ma da mezzogiorno in poi qui si prende il menu completo o nulla.”
Metista si alzò, e dopo aver indossato la bombetta fece per allontanarsi ma fu fermato dal barista che gli propose un affare.
“Che affare?” chiese il ragazzo.
“Se lisci anche questi stivaloni di gomma, posso offrirtelo io il pranzo.”
Si sentì Barnaby gridare: “Te li liscio ogni giorno io se offri da mangiare a me.”
“Lisciali ai tuoi alieni, vecchio.”
“Loro non indossano scarpe e non hanno i piedi.”
“Loro no, ma io sì e se non stai zitto ti do i calci che non riescono a darti i marziani.”
“Alfacentauriani.”
Il barista mostrò i piedi.
“Sei capace di farmi saltare come un canguro?”, disse, ma s’intenda, lo fece ironicamente.
“Anche più in alto, può saltare, ma con la sua corporatura si stancherebbe, signore” disse Metista al barista che non aveva di certo la stazza di un atleta. Quello insistette, non che credesse al ragazzo, ma per il piacere di avere qualcuno ai propri piedi per due soli dollari, la gente farebbe finta di credere alle scimmie giganti.
Metista si chinò e cominciò. Nel breve arco di tempo il giovane diventò l’attrazione del Tommy&Conny Villani. Che facce rilassate e contente che c’erano lì dentro, tutte tranne quella di Tommy Villani che appena vide Metista fare soldi nel suo locale gli gridò “Hey” da dietro la porta della cucina e ancora: “Hey, dico a te. ”
Conny, la moglie, era già da alcuni minuti tra la folla e fermò il marito che stava per scacciare il ragazzo, anche se, da quel che vedeva, poteva ricavarci soldi da quel tipo smilzo, ma ne avrebbe parlato con lui un’altra volta, in quel momento doveva solo difendere la sua serata, il suo locale e la sua dignità da proprietario. Non difese nessuna delle tre cose per via della moglie che in quanto a soppressione della dignità del marito, era molto ferrata. Avrebbe divorziato con molto piacere, ma non si può divorziare anche da un socio e quindi il suo Tommy se lo teneva perché oltre a bestemmiare e russare, faceva anche delle ottime uova al formaggio.
“Bloccati” disse Conny a Tommy fermandolo con una botta sul petto da passargli il cuore sulla schiena, “devo farmi lucidare le scarpe.”
“Non crederai a quelle stronzate?”
“Ho creduto di poter vivere con te finché morte non ci separi, potrei credere a qualunque cosa adesso!”
E avvicinatasi al ragazzo, pose il piede sinistro sulla valigia di pelle marrone:
“Fa che queste scarpe riescano a trovare il petrolio quando lo annusano.”
“Oh signora” balbettò il ragazzo, “io non…”
“Non” Conny non se lo voleva di certo sentire dire, specie dentro il suo locale, lei era quel tipo di donna colonna portante dei migliori locali americani. Minacciò di prenderlo a calci in faccia e di chiamare la polizia.
Paul Metista fece quello che fino a quel momento aveva fatto. In ginocchio, impomatò la scarpa di lei e la lustrò, poi con una voce sottile rispose: “Servita signora” e guardò la folla.
La spogliarellista stava in uno dei tavoli all’angolo, seduta a cercare qualcosa nella borsa, qualcosa d’importante a giudicare dall’energia con cui lo faceva, o forse quell’impeto era soltanto dovuto alla paura di non essere riuscita a mantenere in piedi la serata.
“Davvero tante scuse per averle rubato il lavoro. Non volevo.”
La ragazza non pianse, ma aveva tante di quelle lacrime dentro allo stomaco che se solo avesse iniziato non avrebbe smesso più, ve lo garantisco.
“Non preoccuparti” disse forzando un sorriso, “so cosa vuol dire guadagnarsi da vivere stando in ginocchio.”

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Paul Metista fu visibilmente imbarazzato, ma nonostante l’imbarazzo si piegò a lei con mestiere e per mestiere e porgendo la valigia e la pezza chiese: “Lei non è di queste parti, non è così? Da dove viene?”
Ci si chiede spesso cosa ci faccia un bel fiore tra l’erbaccia quando lo vediamo e le risposte sono due, o è nato lì per sbaglio o è di …
“Indipendence” rispose la ragazza.
Metista, che chino era rimasto, rispose nel modo in cui nessun cliente di uno dei migliori locali d’America avrebbe mai risposto: “Mai stato e neanche conosco nessuno che vi abita”
Arrotolò la pezza in una mano e chiese cortese: “Mi permette?”
“No” rise lei sventolando la mano aperta, “no grazie, ho smesso di credere alle favole tempo fa” e poi ancora, “no, no grazie, non ho neanche i due dollari con me.”
“Per lei è gratis.”
Per quello che la ballerina voleva, nessuna scarpa magica avrebbe potuto fare miracoli, ma Paul Metista era convinto del contrario e allora le prese un piede e cominciò a lustrare la scarpa che portava.
Finito il lavoro si alzò e fissò la gente come se riuscisse a guardarla negli occhi tutt’assieme contemporaneamente e poi disse: “E’ stato un piacere, signori, spero che i vostri passi seguano, d’ora in avanti, le vostre scarpe.”
Di certo non è con un lustrascarpe che esce da una porta e non viene mai più visto che una storia che viene ancora oggi ricordata, può finire, altrimenti non ci sarebbe motivo di ricordare: non pensate anche voi? Non è la lustrata che rende famosi Mentone e Paul Metista, ma gli effetti di quella magica lucidata. Che se ne dica o meno sul fatto che sia solo una leggenda, io mi sono ugualmente informato con cura circa le persone che erano quel giorno in quel bar, anzi, io in quel bar ci sono stato, da Tommy&Liza Villani. No, non è un errore, non ho sbagliato locale, io conosco bene i migliori locali americani, non vado certo a ricercare la storia di Metista in posti con luci blu intermittenti e pavimenti di vetro…
Dovete sapere che Tommy s’è risposato con una canadese di nome Liza e da quello che ho visto stanno molto bene insieme. E’ a lui che la gente chiede di Metista ridendoci poi su.
“E’ vero” grida Tommy appresso a chi lo prende per il culo: “E’ tutto vero, stronzi.”
Quando gli dissi che credevo in Metista lui mi guardò e mi mostrò il pugno: “Avevo una moglie una volta, si chiamava Conny e sai che fine ha fatto?”
Già, che fine ha fatto?
Conny ha avuto quello che ha chiesto. I suoi piedi hanno annusato il terreno e l’hanno impalata su una montagna, sotto il sole. Aveva trovato il petrolio o meglio, le sue scarpe avevano trovato il petrolio. Era rimasta lì per giorni e per quanto lei avesse cercato di togliere quelle scarpe non avrebbe potuto mai farcela, perché non si sarebbero mai tolte, non prima di aver realizzato il sogno di chi le indossava. Quello che Conny non sapeva era che la sfortuna non era ancora arrivata, ma si trovava invece a quasi cinquecento metri da lei e portava il nome di “Mentone Oil Service”. Il treno diretto a El Paso, correva veloce sulle rotaie e Conny gli stava dietro come a volerlo superare. Le scarpe avevano trovato dell’altro petrolio, ma non avevano pensato di prendere la via più facile per chi le indossava. Correvano, correvano all’inseguimento del loro tesoro. Quando il macchinista si accorse della donna e fermò il treno, quella giaceva morta sopra la carrozza numero otto con le ossa rotte e gli occhi fuori dalle orbite. Non è morbida alle orecchie una storia così e neanche quella del barista grassone, che a saltare come un canguro perse tutti i chili di troppo e quelli essenziali fino a che non spiccò il salto migliore e lo trovarono stracotto sui cavi dell’alta tensione. Paul Metista cercava di dire alla gente di stare attenti a cosa chiedevano, ma quelli sembravano così intenti a deriderlo…
Eppure lui lo diceva anche alla fine del suo lavoro, come un rito: ricordate?
“E’ stato un piacere, signori, spero che i vostri passi seguano, d’ora in avanti, le vostre scarpe.”
Per quanto riguarda Monsoon, il primo zoticone che Metista aveva incontrato, la frase si rivelò azzeccata: Monsoon seguì le sue scarpe che lo portarono passo dopo passo al commissariato di Polizia e non si spostarono dalla porta d’ingresso fin quando i poliziotti non scoprirono che fosse un volgare venditore di bambini.
E lei? Tutti la stavate aspettando. Anch’io l’aspettai tanto, ma arrivò presto anche la sua storia, prima di ogni altra. Parlo della spogliarellista o devo dire Ginger?
Di Ginger vedevi la faccia enorme, gli occhi azzurri e il viso sorridente nel cartellone pubblicitario all’entrata della città, alla prima uscita dalla Highway 117.
Aveva sognato di percorrere, con quelle scarpe, le strade del successo e, che sia stato o meno Metista a farle raggiungere la sua meta, penso che le sia venuto anche piuttosto facile, visto che di talento quella donna ne aveva da vendere. Io l’ho vista e credetemi che quell’Oscar lo ha proprio meritato.
Ma non vi chiedevate solo che fine avesse fatto la dolce Ginger, non è così? E’ normale chiedersi di Metista, di chi sia in verità e di dove sia finito. E’ quello che cerco anch’io da tempo, ma qualcosa sto scoprendo, abbiate pazienza. Di Metista so quello che vi ho appena raccontato e altro non sapevo, almeno fino a quando non decisi di starmene seduto da Tommy&Liza Villani ad assaggiare le loro uova al formaggio guardando un po’ di Tv.
C’è odore di fontina e mozzarella filante, burro fuso e salsa di pomodoro tutt’intorno a me, affamato come un giornalista che viaggia alla scoperta dei suoi scoop. Al primo boccone sento: “Per Dio”. Ma non bado troppo a Tommy che smorza bestemmie per guadagnarsi il Paradiso passando dall’Inferno, ma non puoi fare a meno di chiedergli cosa sia successo, quando quel “Per Dio” lo ripete cinque, sei volte, guardando uno dei monitor in alto
E io glielo chiedo, cosa succede, ma lui non mi risponde, è come se fosse in uno strano stato di trance: non mastica più il suo stuzzicadenti, è stralunato, allibito, con un sorriso leggero e una lacrima stazionata nel suo occhio sinistro che ha deciso di non gettarsi giù per la guancia fin quando non sia arrivato il momento…
Decido che è meglio guardare dove lui guarda, che starmene a chiedergli cosa gli succede, ed è lì che trovo la risposta e il prossimo posto in cui recarmi.
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In fila, i soldati marciano sulle terre a tempo costante e per decise direzioni e i loro passi risoluti vengono mostrati su tutti i canali. Sono stupiti anche loro, quasi non sanno cosa stanno facendo e perché, e quella faccia stupita ha il volto di un arabo, di un americano, di un italiano, di un inglese, di un africano, di un tizio qualunque di uno stato che ha deciso di far guerra ad un altro.
“Non posso crederci, è stato lui” dice Tommy guardando quella miriade di gente attraversare il mondo per tornarsene a casa, a piedi. Camminano a stento ma a volte sorridono per ciò che accade. Non possono di certo fermarsi, questo lo dicono a chi ci crede e a chi no, ma più di ogni altra cosa, sembrano meravigliati dei propri sogni.
“Che queste scarpe ci portino alla vittoria” avevano chiesto i soldati e la vittoria migliore che potessero avere, l’avevano ottenuta tornandosene a casa… tutti.
Il loro volto portava fiero un luccichio soddisfatto, così i loro occhi che guardavano avanti, ma se la telecamera avesse inquadrato anche i loro passi, avrebbero visto che ai piedi battenti portavano tutti stivali lucenti, lustrati con cura tra proiettili e granate, da un giovane soldato con mille divise e di nessuna razza che diceva di provenire dal primo posto che gli saltava per la testa se gli veniva chiesto, ma che poteva soltanto, per credenti e scettici, scendere dal cielo.

A.Cascio

 

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