The Cougar

On 22/05/2019 by alecascio

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Per la prima volta in città qualcuno aveva osato andare oltre e c’era stato detto che in molti si erano opposti all’idea del The Cougar definendola imbarazzante, bizzarra e razzista. Imbarazzante è lasciare che i giovani vivano al posto tuo quando ti mancano ancora quarant’anni per morire, bizzarro è gonfiarsi le guance di silicone, razzista è non scoparsi un ebreo solo perché ci fa ribrezzo la circoncisione, ma al The Cougar si voleva solo fingere che le ventenni non esistessero se non nelle idee contorte di un regista di film porno.
Chiedo un drink alla barista che mi domanda quanto ghiaccio ci voglia dentro.
“Se avessero voluto servirlo freddo avrebbero scritto sotto l’etichetta di tenerlo in frigo”.
Rimane impalata a chiedersi quale sarà la mia prossima frase, macchinario bloccato da un comando interrotto.
“Non voglio ghiacchio, niente ghiaccio” la libero dal suo limbo.
Il mio amico, Joan, qui seduto accanto a me a cercare di capire come un culo soffice possa incastrarsi su uno sgabello liscio e rigido, ha ripetuto più volte che in questo locale avremmo trovato solo vecchie assetate di cazzo e io l’ho colpito con una mano aperta sulla nuca per riportarlo alla ragione:
“Vuoi sederti in un locale aperto a tutti a guardare le ventenni succhiarti la vita mostrandoti ciò che hai perso?”
“Cosa avrei perso” ha risposto.
“La facoltà di essere tu a giocare invece di fare lo spettatore.”.
Gli ho esposto la sua vita futura in un attimo mostrandogli il mercato aperto a lui e tutto il prendere o lasciare che la natura ci ha messo di fronte, oltre non possiamo, oltre è come voler saltare da un dirupo e pretendere di rimbalzare.
“Karen” si presenta la donna formosa di fronte a me sui cinquantacinque circa, mese più mese meno. Alle donne, invecchiando, crescono le tette, è per questo che la chiamano “senilità”. Sa che è il suo punto forte e me le mostra come se non ne avessi mai viste un paio.
“E allora? Il tuo nome?”
“Puoi chiamarmi come vuoi, dammi tu un nome”.
“Papino?”
“Non hai vent’anni, non sono il tuo Daddy”
“Non ho vent’anni ma so scopare meglio di loro… Papino”.
Vi dico una cosa che non sapete perché siete ingabbiati dai sogni come fossero religioni: nessuno sa scopare bene.
Scopare è un atto meccanico che consiste nello sbattere un nerboruto membro dentro una donna qua e là come un flipper sperando che una dozzina di colpi ogni ventiquattro facciano centro e strofinino dove devono. La metti su, giù, a destra, a sinsitra e alla fine avrai totalizzato i punti necessari per non essere l’ultimo in classifica. Quel che cambia è la venerazione. Nessun uomo che venera una donna può mai fare male, nessun uomo con una testa e un cuore che abbia almeno visto un paio di video di Riley Steele può sbagliare, quindi dico a Karen di dirmi qualcosa di lei e di meravigliarmi con argomenti interessanti perché farselo venire duro con la sua danza dell’amore è come provare ad applaudire un trapezista che si è appena spiaccicato sul pavimento di un circo, dirgli “almeno ci ha provato, apprezzo lo sforzo” non lo ricomporrà e per ora il mio cazzo è un trapezista che ha scoperto di essere miope al secondo carpiato.
“Cosa ti fa pensare di essere meglio di me?” mi chiede Karen.
“Niente” le rispondo, “niente mi fa pensare di essere meglio di te, per questo non sono venuto al tuo tavolo cercando di sedurti vestito da battona”.
“Hey” mi prende una spalla quello che sembra essere il titolare, “datti una calmata”.
“Cos’è, ho solo detto la verità”
“Guardati intorno, mi mostra gli uomini panciuti e le donne coi corpetti stretti col black and decker che si sorridono a vicenda, “credi che qualcuno qui abbia bisogno della tua verità? Credi che sia per la verità che abbia aperto questo posto?”
Mai sentita tanta saggezza finire con un punto interrogativo, così mi ricompongo e giro il mio whisky per dargli aria.
“Dalle una possibilità” mi dice, “qui si cercano possibilità, solo quelle”.
Mi alzo e busso sulla schiena di Karen che si volta e mi chiede in quale altro modo voglia insultarla.
Ho un vocabolario d’insulti infinito, perfino parole che prima sembravano oniriche, mescolate nel modo giusto, possono apparire disdicevoli.
“Scusami” le dico, “ho esagerato, non penso quello che ti ho detto di pensare”.
“Allora perché lo hai detto?”
Perché lo pensavo, in tutta sincerità, ma le invento qualcosa all’istante riguardo al mio difficile rapporto con le donne e mi rendo colpevole di un paio di cose che non ho mai fatto. Lei si impietosisce, mi offre un altro drink e finiamo a discutere di quanto desiderasse una famiglia e un uomo che accettasse la sua decadenza, mi dice che quel posto era la sua ultima spiaggia.
“Il mondo è tondo, ogni navigante incontrerà mille spiagge, basta solo continuare a navigare”.
“E se la nave sta affondando?”
“Dirigiti a poppa e canta a squarciagola con i tuoi marinai!”
Esco dal locale che sono le cinque e mezza, sono successe un sacco di altre cose poco interessanti prive di valore per qualsiasi narratore, ma il porto mi si apre uscito dal Cougar quando una ragazza di colore mi chiama per dirmi che mi hanno multato.
“E tu non hai fatto niente per impedirlo?”
“Se avessi saputo che era la tua, avrei provato a corromperlo”
“Non hai abbastanza soldi”
“Sì, ma ho queste” tira fuori i suoi seni teneri e sodi e il trapezista di colpo si regge in piedi e urla “tranquilli, niente di rotto”.
In tutto questo marasma di tempi che passano e naviganti, ci siamo scordati degli scogli come lei, che a piena rotta ci squarciano la fusoliera, della passione, della perversione, dell’amore.
Il Cougar era diventato una sorta di ritrovo per ventenni in cerca di Daddy e come al solito le donne si ritrovavano da sole in questo gioco di sesso e disgrazia che chiamiamo vita.
“Cos’è che cerchi?”
“Qualcuno che mi scopi come si deve” risponde strofinandomi addosso il suo corpo surgelato dalla giovinezza.
E per una volta ometto la verità, non le dico che il sesso non è come nei film, non ci sono professionisti dell’amore ma veneranti e venerati. Con lei andrà bene, con quel culo e quegli occhi non c’è altro modo di scoparsela se non facendole urlare l’Inno alla gioia per poi morirle addosso come le mani stanche di un interprete di Beethoven, s’un piano.

A. Cascio – The Cougar

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