Alessandro Cascio

Tutto può essere descritto in modo elegante se ti sei preso cura negli anni del tuo linguaggio, anche l’immagine, la situazione o la persona più deprorevole e sciatta.

Per chi la descriveva con eleganza, la prostituta era allora “una domestica del sesso, capace di distaccarsi talmente dal proprio corpo da renderlo un’animato arnese, adeguato al bisogno autoerotico di chi dell’anima delle donne non sa che farsene. Ogni centimetro di pelle le si raggelava e d’un tratto il calore si rifugiava per intero nella vastità del pensiero e lei diveniva un fiore di cintrana che si fa spazio tra le rocce”.
Il depravato era invece “un vagabondo senza casa o forse una sì, ce l’aveva, ma era l’idea di focolare a mancargli. Le mura rimangono tali se non dai ad esse un valore astratto così come un uomo non è che una potenziale bistecca della quale la morale comune ci ha vietato di cibarci seppure certe bestie, inconscie dei propri limiti, siano capaci di donarci più conforto.”
La puttana, “prese i soldi pur fantasticando un mondo di sogni a basso costo o, perché no, privi di prezzo, anche per chi uno sbaglio alla volta era scivolata giù fino al ceto degli emarginati, la classe pur sempre d’élite che l’accomunava a ladri, tossici e assassini”.
Il depravato “la puttana l’aveva solo immaginata perché nessuna donna al mondo è carne, carne e basta, e seppure aveva in mente un giorno l’altro di tornare uomo, non era in grado di percepire chiaramente cosa l’aspettasse davvero. La donna piange, la donna ride, la donna brama, la donna disprezza, rifiuta o acconsente”.
La puttana “ebbe un solo conforto in tutto quel trambusto genitale, di non aver concesso una vera donna a chi quella notte ne desiderava una. E il denaro, anche quello le fu d’aiuto”.
Agli occhi dell’osservatore inelegante, quell’incontro fu solo “un tale che decise di andare a troie e ne trovò una sulla strada verso casa”, ai miei occhi fu un canto di battaglia in cui nessuno degli eroi citati conobbe la piena vittoria.