Il diavolo e Celic

On 25/11/2020 by alecascio
Povero Celic. Aveva davvero pensato che quella giovane Dea asiatica potesse invaghirsi di lui almeno per le sue doti d’artista, eppure mi sarei aspettato un po’ di lucido realismo da un uomo di quel talento. Ho sempre pensato che la fantasia fosse una prerogativa di chi riesce a vedere il mondo per quel che è veramente, che fosse un’illusione indotta per sfuggire alla verità, ma probabilmente a vivere troppo nei sogni si finisce per perdere la visione obiettiva e ci s’impasta con le proprie creazioni.
Si presentò a lei elegante al massimo delle sue capacità, la ragazza invece lo sarebbe stata anche in pigiama perché il Creatore l’aveva premiata per qualcosa che non era dato sapere a nessun altro che a Lui.
Non si aspettava il terzo incomodo e questa volta non era affatto lui, ma quell’uomo corpulento che fin da subito, con un solo sguardo, giudicò un inetto.
“Ci tenevo che conoscessi il mio ragazzo, gli ho parlato molto di te” gli disse la ragazza con l’entusiasmo di chi non è mai stata sola in tutta la sua vita perché perennemente cullata dalla bellezza.
L’uomo indossava una maglia aderente che mostrava il petto spesso ed allenato, Celic invece sembrava avesse le interiora disciolte e che la sua pelle cercasse di contenerle perché non si spargessero sul pavimento.
Aveva passato la vita seduto di fronte a delle tele, aveva cercato di affinare la sua tecnica giorno dopo giorno e il tempo era passato in un lampo, aveva iniziato a dipingere a sei anni e messo la firma in fondo a destra che ne aveva cinquanta in più. E qual era il premio per tutto quell’esercizio? Essere il terzo incomodo a un tavolo per due.
“E’ una brava modella?” chiese l’uomo.
“Sa star ferma in un modo che non ho mai veduto prima” rispose Celic.
L’uomo, di cui mai avrebbe saputo il nome perché non ne aveva uno (almeno a giudicare dalla scarna presentazione) lo guardò come a chiedersi se la sua fosse ironia o un vero complimento. Celic non glielo avrebbe mai rivelato con alcun cenno del viso che rimase impassibile, di cemento.
Seguirono dieci lenti secondi di silenzio in cui tutti cercarono con lo sguardo il cameriere per poter mettere in bocca un vetro addolcito dall’alcol e star zitti senza imbarazzi al momento opportuno.
Sinar era entrata nella sua vita il 14 Marzo di quell’anno, quando l’aveva vista di fronte a una vetrina a osservare ammaliata la sua silouette. Le passò accanto, le immagini specchiate si fusero e fu come la tenebra che divorò il sole.
Le chiese se per due soldi potesse farle da modella e quando lei lo riconobbe arrossì.
“Maestro” disse.
“Non ti ho ancora insegnato nulla” rispose lui.
“Sono convinta che lo farà”
“Allora mi chiamerai maestro a tempo debito”.
Considerò Sinar un premio per la sua dedizione.
Ma io quel giorno ero lì e non dispenso premi se non per poter godere di un sacrificio.
Celic bevve un sorso di birra e disse all’uomo che lo avrebbe disegnato volentieri se ne avesse avuto piacere.
“Adesso?” chiese quello.
“Non qui in questo Bistrot” rispose Celic, “ma credo che potremmo farlo tra une ventina di minuti sempre che lei non abbia altri impegni”.
Ne passarono diciotto invece e si ritrovarono tutti e tre nello studio, l’uomo nudo, la ragazza seduta sul sofà con gli occhi assonnati e Celic alla sua tela.
“Mi permetta di dirle, maestro, che è un onore per me posare per lei” disse l’uomo prima di promettere di far silenzio d’ora in avanti.
Celic ingannevole come il vino d’uva fragolina, ringraziò e gli chiese di chiudere gli occhi e rivolgere la testa verso l’alto.
Iniziò a disegnarlo dapprima dal piede sinistro che man mano che si materializzava sulla tela, spariva dal corpo dell’uomo ignaro di avere i minuti contati. Poi passò al destro, poi alla gamba, fin quando, ridestato da un indolenzimento al collo, l’uomo non si accorse di possedere ormai nient’altro che quello e buona parte del viso.
Provò a urlare, Celic lo capì da come sgranò gli occhi, per questo gli aveva tolto la bocca prima che potesse svegliare la ragazza ormai caduta in un sonno profondo.
Gli lasciò le orecchie affinchè potesse sentire, però.
“E’ una tecnica che ho affinato in questi ultimi vent’anni” gli disse, “anch’io ho dei maestri ma dubito che il mio ne abbia avuto uno a sua volta.”.
Dell’uomo rimase un occhio e un orecchio, il resto era immortalato per sempre sulla tela.
Celic gli propose di guardare per l’ultima volta Sinar e di dimenticarla. Io mi materializzai alle sue spalle proprio quando firmò il ritratto e gli chiesi se fosse contento del suo lavoro.
“Maestro” mi chiamò, “lei ne è contento?”
“Avresti potuto disegnare la fame nel mondo o la malattia, lo sai questo?”
“Sa bene che non è così, altrimenti non avrebbe scelto un ritrattista come allievo”.
Mi avvicinai a Sinar e le soffiai in viso un alito di torpore. Si raggomitolò su se stessa e sorrise.
“Sta facendo un bel sogno nello studio dell’Inferno, è sempre meglio che avere incubi in Paradiso, dico bene?”
“Lei cose ne sa del Paradiso?”
“Abbastanza da ripudiarlo, questo da solo dovrebbe bastarti a darti conforto”.
Aprii la porta del camerino, vidi un mucchio di tele accatastate e feci un lento e scandito applauso.
“Ti sei dato da fare, vedo. Più passa il tempo più il tuo cinismo ti rende demoniaco, mi chiedo se resterà qualcuno a calpestare questa terra”.
Celic si avvicinò alla ragazza, si sedette accanto a lei e le accarezzò i capelli.
“Potrei disegnarmi migliore di così, per lei, forse mi amerebbe”.
“Non dire sciocchezze” gli risposi, “sai bene cosa ti capiterebbe se disegnassi te stesso”.
“Sarebbe poi così drammatico?”
Non si era mai domandato perchè la donna non fosse scomparsa quella prima volta che l’aveva ritratta e non se lo chiese neanche i giorni a venire.
Scelse il momento sbagliato per esigere un chiarimento e io gli risposi come avevo risposto a tanti altri artisti prima di lui:
“Perché senza sofferenza sareste delle nullità come ogni altro essere vivente, senza una mancanza non cerchereste di colmare alcun vuoto e c’è bisogno di un’enorme vuoto per un’enorme creatività”.
Mi dileguai nel momento in cui Sinar si svegliò, ma feci in tempo a vedere il viso malinconico di Celic doversi confrontare nuovamente con la propria ignobiltà.
A.Cascio – Il diavolo e Celic
Milano Libri 2020
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