La fica sul cuore (racconto breve)

On 22/07/2021 by alecascio
“Se permette vorrei dissentire”, disse George Willemson.
“Non qui, la prego, c’è una toilette al piano inferiore”, rispose Mr. Harv.
Willemson s’indispettì, cercò di non darlo a vedere sorridendo, ma gli venne fuori una sorta di ruggito misto al gorgoglio di chi aveva inghiottito in fretta la saliva e quella gli era rimasta in gola.
“Lei crede di essere un bravo scrittore e un ottimo umorista, Mr. Harv, eppure io noto delle dissonanze piuttosto stucchevoli nel suo modo di narrare, si considera un fantasioso realista, eppure ha la capacità di esposizione di un principe ubriaco in una fatiscente locanda di periferia.”
“Se fosse stato innamorato capirebbe”.
“Lo sono stato mille volte”
“E’ per questo allora che non capisce”
Willemson afferrò con le sue grosse mani la catasta di fogli scritti a penna dal giovane Harv e lo fece tonfare sulla scrivania.
“Prendiamo la prima pagina del suo romanzo” disse, “quella in cui rivela il suo amore a Miss Natalie. Lei scrive, leggo testualmente:
M’invitò a cena, a un solo giorno dal nostro primo incontro,
rifiutai senza inventare scuse, le dissi che non l’avevo ancora meritato e che la cosa più bella che potesse fare per me era allontanarmi più e più volte, in tal modo avrei cercato di guadagnare faticosamente ogni sua attenzione, ogni suo gesto d’amore e una volta accumulata una discreta ricchezza sarei stato certo di non lasciarla mai, perché nessuno sperpera in un solo giorno ciò che ha accumulato per anni con pena e sudore. L’amore non dev’essere un regalo, ma un compenso cospicuo per aver… arato con i denti i campi da Derby a Stafford.
“Geniale, direi”
“Lei considera genio questo abominio letterario?”
“Rende la misura di quel che è l’amore, un’impresa quasi impossibile”.
Harv si alzò, camminò in direzione della pianta da interni e chiese a Willemson di infilarci dentro la dentiera.
“La lasci in bocca, se la usa manualmente è come avere tra le mani un piccolo aratro”
“Sono i miei denti, non ho alcuna dentiera”.
“Allora provi, cosa mai potrebbe succederle”
“Lei è un folle se pensa che farò una cosa simile, non ho detto che sia un’impresa facile, ho detto soltanto che la poesia dei righi precedenti viene offuscata da un’ allegoria del tutto fuoriluogo”
“Preferiva da Bristol a Swindon?”
“No, per Dio, qualunque campo di qualunque luogo non farebbe alcuna differenza”.
Harv ammirò il modo in cui Willemson stava analizzando il suo romanzo, dimostrava di averlo letto, di averci riflettuto su e non c’è cosa migliore al mondo, per uno scrittore, di rubare del tempo a un editore. Il problema è che Willemson, come tanti, non aveva una visione nitida di ciò che l’amore fosse realmente.
“Prendiamo questa, pagina quarantacinque” disse Willemson:
“Leggo testualmente…”
“Che bisogno ha di ripeterlo ogni volta?” chiese Harv, “è palese che nulla di ciò che è scritto nel mio romanzo potrebbe mai uscire dalla sua testa né tantomeno riuscirebbe a farne una parafrasi esaustiva”.
“Leggo testualmente” ripetè Willemson, stavolta con voce burbera:
Quanto avrei voluto leccarle la fica che aveva sul cuore, per bagnarmi le labbra del sangue della sua anima, di quantità molto limitate, qualche rivolo appena per ogni corpo, che all’aorta si ferma per tramutarsi in pensiero.
“Lei vuole una fica sul cuore della sua donna?”
“Se tutte l’avessero, renderebbe il cuore un luogo ambito quanto quell’altro, non pensa?”
“E’ sgradevole, brutto, ripugnante”
“Lo è anche lei eppure nessuno ha mai pensato di buttarla nella spazzatura come intende fare con il mio romanzo”.
“Ne ho piene le tasche di lei e dei suoi insulti” urlò Willemson che seppur fedele al suo caro amico che gli aveva raccomandato quello che definiva “un talento senza precedenti”, non riuscì a sopportare oltre.
“Le palle, vuole dire che ne ha piene le…”
“Volevo dire le tasche, ne ho piene le tasche”
“Lei ha le tasche piene di palle?”
“Esca dal mio studio”.
“Senz’altro, anche perchè la mia presenza qui è stata sgradita fin dall’inizio”
“Non è affatto così, è stato lei a…”
Harv lo interruppe: “Intendevo che è stata sgradita a me, non a lei” e andò via.
Harv non era affatto quel che aveva dimostrato d’essere con il buon George Willemson ma aveva inteso fin da subito che l’uomo, ormai lontano da certe dinamiche dello spirito, non avrebbe compreso le sue parole. Mancargli di rispetto era il modo migliore per farsi scacciare e mantenere inalterati i suoi scritti.
Entrò in casa, tolse il cappello, mise una camicia sporca di terriccio, dei luridi pantaloni e degli stivali, poi si avvicinò a Natalie ancora stordita dal sonno.
“Hanno accettato il libro?”
“Non ancora, è difficile trovare un uomo di potere che ricordi cosa sia l’amore”
“Mr. Holland ci teneva molto, gli dispiacerà da morire”.
Harv cedette all’intimità di una stanza adombrata, alla tenerezza di una donna assonnata, al calore di una tenera storia, scritta ma mai raccontata.
Infilò le mani nella camicia di Natalie e giunto al cuore, si bagnò un dito dei suoi umori.
Lei lo fermò: “Non manca ancora molto, non avere fretta, non mandare all’aria tutto”
Si passò il dito sulle labbra e sentì l’odore di mille ali d’angelo lasciate a macerare nel whisky.
Derby sarebbe diventata una città fiorente un giorno, la gente per strada lo avrebbe riconosciuto, gli avrebbe chiesto una firma, una dedica, ma per il momento si sarebbe goduto l’anonimato e le distese di grano, chissà, forse un giorno gli sarebbero mancate.
Si chinò, infilò il viso nell’argillosa terra inglese e cominciò ad arare l’ultimo miglio rimasto.
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