Storia d’amore in due minuti

On 17/08/2022 by alecascio
Un sacco di donne con cui sono andato a letto mi hanno rivelato di avere avuto un orgasmo multiplo. Certo, ho sempre trovato poco carino il fatto di dirmelo proprio prima di scopare con me.
Io e Sérena non andavamo più tanto d’accordo. Credo che sotto sotto avesse qualcosa contro di me. Una bella mattina di sole primaverile la passai a prendere sotto casa, aprii la portiera dell’auto e le dissi:
“Ciao”.
“Oh Cristo Santo” urlò, “devi sempre essere così banale?”
Eppure avevamo qualcosa in comune, ci amavamo.
Io amavo me stesso, lei se stessa.
Ti voglio ancora nella mia vita, mi disse una sera, e poi cominciò a piangere. Capii subito che stava recitando, specie quando indossò il cappello e iniziò a ballare intonando le note di All that Jazz.
Non mi ha mai lasciato perchè ho una mente notevole. In prima elementare ricordo che la maestra ci insegnò a scrivere le lettere. Mentre i miei compagni erano ancora arrivati alla C di ciliegia, io ero già al secondo scambio epistolare con un vecchio antropologo francese.
Dal canto mio, io non l’ho mai lasciata perchè bellissima, anche se non ho mai capito cosa ci sia di utile nella bellezza in un momento storico in cui gli uomini si scoperebbero anche le prese sui muri se non rischiassero di rimanere fulminati.
“Sono incinta” mi rivelò per telefono.
No, non è una delle frasi che un uomo vorrebbe sentirsi dire, le ho elencate tutte, sono pressapoco queste:
“Sono in zona, ti va di farci una sveltina che poi devo subito ripartire?”
“No grazie, ho già mangiato”
“Fa pure tanto sono sterile”
“Lo sai che ho scoperto che lo sperma è un antirughe naturale?”
Intanto il bambino avremmo dovuto tenercelo anche se sono sempre stato a favore dell’aborto purchè sia praticato entro dodici mesi dopo il parto.
Io decisi di chiamarlo André.
In lacrime, abbracciando il mio corpo assente, mi disse: “Alexandre, dobbiamo assicurarle un futuro, mon Dieu”
“Hai ragione” le risposi alzando il palmo e il mento al cielo: “Allora chiamiamolo Andrò”.
E’ difficile crescere un figlio quando fai lo scrittore e lei studia matematica. Non dico che scrivere sia utile, ma studiare matematica è come tenere una bottiglia piena sulla punta di un dito: è difficile e non serve a un cazzo.
E poi c’era quel piccolo problema con le mie dipendenze. Riesco a sviluppare dipendenza da qualunque cosa.
Mio padre era un generale dell’esercito in pensione, era un duro.
“Ho ucciso un sacco di persone durante la guerra in Iraq” mi disse un giorno a cena.
“L’Iraq, non ricordo che tu sia mai stato in Iraq”
“Infatti non ho mai detto di esserci stato”
Da bambino non faceva altro che ripetermi che avrei dovuto prendere esempio da mia madre.
“Ma Papà, la mamma è morta” rispondevo.
“Appunto” ribatteva lui: “Appunto!”
L’ultima volta che lo vidi era disteso sul suo letto d’ospedale con gli occhi chiusi, così in silenzio raggiunsi il dottore e gli dissi: “Dottore, se c’è da firmare dia pure, a questo punto credo che sia giusto staccargli la spina!”
Mi misi a braccia conserte e scossi la testa.
“Rimetti in tasca quella penna, figlio di puttana” rispose il vecchio, “ho solo un’appendicite”.
Il mio dottore mi diede delle pillole, mi ero sentito meglio e allora gliene chiesi altre.
“Erano un placebo” mi disse sorridendo.
“Ah” gli risposi, “quindi vuole dire …”
“Sì, proprio così, era tutto nella tua testa, non hai alcun bisogno di questa roba”. Poi prese i flaconi e li gettò nel cestino della carta.
Lo afferrai per il bavero e gli urlai contro: “Ok, non te lo dirò un’altra volta. Dammi quelle maledette pillole o t’ impicco sul balcone, testadicazzo!”.
Sérena non faceva altro che dirmi che dovevo lavorare, che dovevo diventare un uomo. Le risposi che uno studioso dell’Iowa University aveva scoperto che lavorare duramente allunga la vita di dieci anni, che passeremo a pentirci di avere lavorato duramente per tutta la vita.
Così pubblicai un libro per provare a diventare milionario. Era un libro contro la fame nel mondo, non diceva niente di che ma era commestibile.
“Alexandre” mi rimproverava sempre dalla cucina, “sono giorni che non ti vedo lavorare”.
“Non temere amore, oggi ho scritto su una delle più famose riviste italiane di sempre”.
Mi fece un applauso con le sue manine piccole.
Era vero, anche se il mio era solo un modo creativo per dirle di aver fatto un cruciverba in bagno sulla settimana enigmistica.
Il marmocchio che aveva appena messo al mondo non parlava, non camminava, aveva la testa enorme e le braccia più lunghe delle gambe, non sapeva nè leggere nè scrivere, sbavava, era una larva.
“Non è una larva, è un neonato” mi disse Sèrena.
“Ti dico che è strano” gridai “ti dico che è come quella cosa della Metamorfosi di Kafka”.
“Un giorno” sussurrai alla larva, “quando ti si aprirà in due questo orrendo involucro e diventerai una farfalla, non commettere lo stesso errore di tua madre, non t’innamorare di quelli come me. Se sei nato per volare devi continuare a farlo che di fiori ce n’è dovunque, nessuno è da snobbare ma su nessuno vale la pena soggiornare”.
Lo smossi un po’ e rigurgitò, che pessima vita…
“Avrei dovuto ascoltare mio padre” ripetei ad alta voce e per un attimo lei mi si presentò di nuovo bella com’era una volta o forse lo era ancora ma erano i miei occhi ad aver perso la capacità di vedere la magnificenza dell’evidente.
“Cosa ti diceva tuo padre?”
“Non so, perciò ti ho detto che avrei dovuto ascoltarlo”.
Poi di colpo mi lasciò.
“Devo ritrovare me stessa” disse.
“Dove dovresti cercarla? Ti sei tutt’intorno” la toccai, “vedi?”
Non soffrii particolarmente, io sono un sostenitore della teoria “chiodo schiaccia chiodo”. Se vi siete lasciati innamoratevi di nuovo. Non sempre funziona al primo tantativo, io per esempio ero così triste che ho dovuto schiacciare una decina di chiodi prima di scordare Sèrena, ma vi assicuro che quello fu il periodo triste più divertente della mia vita.
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