Blanchet – Racconto breve

On 11/10/2022 by alecascio
La mia testa era l’epicentro di una rivolta. Silenziosa come un passante farcito al napalm, si mischiava tra la folla e imprudente sterminava in massa l’ordine comune. Non aveva saldi criteri di giudizio, attraversava i labirinti della ragione abbattendo muri, incapace di seguire il percorso consueto: da un dirupo si lasciava cadere, dalle onde si lasciava travolgere, per vedere se quanto temuto fosse solo un’invenzione del mostro interiore. E non gl’importava di nessuno e niente, perché di nessuno era fatto il gregge.
La mia mente era come un grido d’Angelo che tramutava l’uomo in cumuli di cenere e infiammava, travolgeva, trasfigurava ogni coccio d’esistenza, suo malgrado. E l’anima al cospetto del causato sfacelo gli stringeva in una morsa il cuore perchè gli era stato concesso di volare ma non di sopperire ai suoi peccati.
Ebbi cento giorni di notorietà per quel libro, poi tornai ad essere un uomo comune perchè i critici distrussero la mia immagine, proprio gli stessi che prima l’avevano creata.
Nel mio breve cammino lastricato d’oro mi ero imbattuto in un mucchio di nessuno tutti insieme, parlavano di nulla ma per loro era qualcosa.
Ogni giorno uguale all’altro, ogni primavera a ricordare le precedenti primavere e poi di colpo si erano trovati ammucchiati in un inverno senza fine a riscaldarsi con l’alito caldo prodotto dal suono delle loro parole, ignari che si può anche alitare in silenzio o per lo meno con una lettera soltanto.
Erano diventati tutti uguali perché se ti spegni non ti bruci, non emani alcuna luce ma almeno rimani integro e solo l’aria e il tempo, lenti come asini al galoppo, possono usurarti.
“Dammi un bicchiere, Weight”.
Il barista mi porse un flute di cristallo e io ci guardai dentro
riuscendo per un attimo a vedere il mondo com’è realmente, distorto e opaco.
“Riempilo con cosa sai tu e poi aggiungi un mignolino d’acqua”.
Si avvicinò una splendida donna con un affascinante strabismo di Venere e un sorriso chirurgico disegnato da un Michelangelo della sanità. Mi chiese: “Lei è Shovinskij”.
Allontanai con un tocco leggero la bionda che avevo accanto e risposi: “No, sono io Shovinskij, lei è solo la Escort che mi accompagna”.
“E perché uno come lei dovrebbe venire in un posto del genere con una Escort?”
Blanchet non si scompose, faceva parte del suo lavoro essere insultata in modo aristocratico, forse essere nessuno eccitava anche lei tanto quanto esaltava la gente che avevo attorno in quel pomposo party per artisti.
“Perché una donna che non ti chiede altro che denaro è la puttana più a buon mercato che un uomo possa trovare”.
Sorrise per educazione.
“Allora, come trova la mia festa?”
“Mi sento come Alice nel meraviglioso mondo di Oz”.
“Divertito?”
“No, fuori luogo”.
“Ho letto il suo romanzo. Misogeno come lei: cos’ha contro le donne?”
“Nulla finché non aprono bocca. Non ce l’ho con le donne probabilmente, ce l’ho con le parole e con i pensieri e le donne sono una Corvette Grand Sport che monta il motore di un’utilitaria.”
“Se il pensiero viene dalla donna, il pensiero è la donna, Signor Shovinskij”.
Cristianesimo, radio e televisione, libri e rete, musica, istruzione, educazione, natura umana, pubblicità: sono così pochi i pensieri che realmente ci appartengono che non c’è modo di scoprirlo se non nell’unico momento in cui la nostra mente si scaglia impetuosa
sulle barriere della società e lì, tra quei detriti ammassati possiamo scorgere un sasso diverso tra tanti: ecco, quello è ciò che siamo realmente.
“Di che parla?”
“Parlo dell’amplesso, del sesso quando i sensi si sono annebbiati, delle droghe”.
“Quindi suppongo che lei, quando non è eccitato, non è se stesso. Chi è allora?”
Sono gli anime che da piccolo guardavo in Tv, sono Manzoni, Petrarca, D’Annunzio spiegati a metà, sono l’Ave Maria e il Padre Nostro, sono l’Atto di dolore, sono mio padre, mia madre, sono un presentatore di talk show e un mucchio di giornalisti dei TG della sera, sono Steven Spielberg, sono B Movies anni settanta, sono la commedia americana ma di certo non sono io.
Mi avvicinai alla vecchia giornalista abbronzata da scariche di sole artificiale e lasciai che le scendesse la spallina giù per il braccio fino al gomito. Le accarezzai la pelle e le sollevai il mento scoprendole il collo. Poi aspettai che in viso spuntasse quell’espressione abbandonata e che nelle mutande il mio più caro amico mi lasciasse diventare vergine delle idee e delle paure che il mondo mi aveva iniettato per plagiare la mia vera natura.
“Vorrei piangerle addosso, mettere il mio viso tra le sue gambe e disperarmi per non so cosa di preciso respirando gli odori della sua eccitazione. Sono un poco di buono all’occorrenza, lei mi sembra così complicata, ha costruito un dedalo attorno alla sua anima per far sì che gli uomini si perdano in un labirinto prima di arrivare al cuore. E’ così fragile con quella sua armatura di gioielli, non potrebbe fronteggiare altro che un esercito di donne invidiose armate di foulard”.
Si avvicinò al bancone e fingendo di aver perso l’eleganza che guidava i suoi gesti, chiese un bicchiere di cosa sai tu al barista sfiorandomi prima all’altezza della patta.
Sentì il mio cazzo e domandò: “Era lei?”.
“Sì, quello ero veramente io”.
Poco dopo, Blanchet, completamente nuda, se ne stava seduta in terra a limarsi le unghie che usava come artigli contro chi le chiedeva lo straordinario non retribuito.
La giornalista, invece, mi stava sotto mezza vestita perché il suo seno era cadente nonostante il resto fosse degno della mia erezione.
“Sono cresciuta nella povertà” mi disse mentre la leccavo e ingoiavo la mia saliva mista al sale della sua fica, “ho un’immensa paura di non potermi permettere il pane e di diventare come quella tua amica puttana che ci sta guardando”.
La masturbai, la penetrai, le dissi: “Tu non sei bella come lei, non potresti neanche permetterti un tramezzino scondito”.
“Lo so” urlò, “sono una vecchia troia senza speranza, inutile e cattiva, ho prima scopato i mariti delle mie migliori amiche e poi li ho minacciati per ottenere delle raccomandazioni”.
La baciai, la mia lingua le strozzò le parole in bocca: “Uso gli uomini per raggiungere i miei obbiettivi, ma mi scoperei chiunque perché non provo amore se non per me stessa”.
Uscii prima di arrivare, mi avvicinai a Blanchet e le dissi di finire il lavoro e ingoiare.
“Blanchet, cazzo, se non fossi una puttana ti amerei. Perché hai scelto questa via”.
All’ultima parola avevo già esaurito ogni verità e il corpo si prese un attimo per ricomporsi e rindossare la maschera che aveva messo in tasca.
“Lei” dissi alla giornalista, “è una delle donne più spregevoli che mi abbia mai incontrato, ma adesso per lo meno ha la risposta alla sua domanda”.
“Quale domanda” chiese.
Chiusi gli occhi e prima di addormentarmi con i genitali tra le mani le risposi: “Perchè i miei libri sono così misogeni”.
Prese i suoi stracci firmati e andò via sbattendo la porta ma non prima di aver minacciato me e la mia promettente carriera.
Blanchet si avvinghiò a me, il suo amore illusorio valeva mille dei miei amori passati. Mi chiese perchè mai avessi trattato la giornalista in quel modo.
“Perchè se avesse davvero letto un mio libro saprebbe che alla fine della storia c’è sempre una donna a salvare il protagonista per quanto esso sia pessimo”.
Le tenni la mano. Mancavano altri cinquantasei giorni prima che finissi di nuovo in strada.
A.Cascio – Blanchet
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