La struggente storia di Sara Torres e il padre Keefe (Da: Tutta la maledetta verità su escobar Ep. 2)

On 17/08/2012 by alecascio

Sono arrabbiato, scoraggiato, confuso, la vita sta insegnandomi un mucchio di cose che non ho chiesto d’imparare e, a meno che le ceneri dei saggi non volino in eterno sui capezzoli delle signore in topless sotto al sole di Coronado Beach, non credo mi serviranno a nulla.

Sono confuso, arrabbiato, scoraggiato, non in quest’ordine ma in ordine sparso, spero che qualche monumentale bevitore al Banana Chic mi possa alleggerire la vita raccontandomi qualcosa che io non so sulla sua misera esistenza, perché c’è sempre di peggio nella vita degli altri, bisogna solo sapere dove cercare e io ho una mappa di tutti i peggiori bar e ospedali e la lista completa di tutti gli editori americani che costringono i loro scrittori a firmare romanzi al pubblico e a sorridere per contratto nelle economiche librerie in franchising.
Mi siedo sullo sgabello più statico.
“Un southern senza ghiaccio” chiedo a Banderas, il barista più cazzuto della west coast.
“Uno anche per me”, alza la mano il cadavere che ho accanto, sudicio come una comparsa in un film di Danny Boyle.
“Allora due” faccio cenno con le dita.
“Due anche per me”, risponde il mio nuovo compagno di bevute.
“Quattro?” chiede Banderas mostrando quattro delle cinque dita che la sua mano contiene, la mano più violenta della west coast.
“No, non esageriamo, due a testa bastano” dice l’uomo, alto, scuro, sui quarantacinque anni circa portati male, specie gli ultimi cinque, quelli devono avergli dato la botta: si vede a chilometri che è uno che da giovane si divertiva parecchio, altrimenti non avrebbe la coda di cavallo. Tutti gli uomini che portano la coda di cavallo si divertono parecchio nella vita.
Senza neanche chiedermi come mi chiamo mi domanda: “Come stai, amico?”
“Shaun” gli rispondo e senza neanche chiedergli come si chiama gli domando: “E tu come stai, amico?”
“Keefe” mi porge la mano: “Keefe Torres, piacere”
Se un ubriacone con i capelli lucidi del proprio grasso cutaneo ti chiede come stai mentre rutta Martini e Vodka sul bancone di un bar e cerca di pescare il salatino vincente in un mucchio di altri salatini fuorvianti in una ciotola di metallo, sta solo cercando di succhiarti via l’energia pulita che ti è rimasta dentro sperando che tu stia peggio di lui. Io conosco bene il gioco, sono lì per fotterlo, conosco il suo gioco, quindi non rispondo e aspetto che mi racconti la sua storia, che mi faccia sentire vincente e che mi faccia tornare la voglia di vivere.
Non ci mette tanto, ha una gran voglia di liberarsi, si vede da come s’imbottisce lo stomaco di quel veleno nefasto, appiccicoso, malsano e maleodorante che anche a me piace tanto.
“Mia figlia Sahara oggi mi ha chiesto di sua madre, non lo aveva fatto mai prima”, dice.
Sento già i muscoli abbandonarsi alla gravità e la pompa gastrica gestire il flusso di acidi con più professionalità.
Si agita, cerca d’infilarsi nella tasca della giacca ma si accorge che c’entra una mano soltanto. Tira fuori una foto e me la mostra, poi mi chiede se mi piace.
“Bella” rispondo, “bei colori, ombra perfetta, scarsa nitidezza ma ha la luminosità intensa di uno scatto con una macchina professionale, una Reflex di quelle che hanno i paparazzi”.
In realtà è una volgare foto da polaroid, ma non voglio rendergli la vita difficile più di quanto non lo sia già.
“La bambina” mi dice asciugandosi la bocca, che però era già asciutta, “parlavo della bambina”.
Allungo il collo più che posso e “non saprei” rispondo: “Fammela rivedere tra una dozzina d’anni almeno”
Banderas mi serve i miei due drink, secchi come tutti gli sbirri che deve aver fatto fuori prima di cambiare vita e mixare bevande per la gente come me.
Mi concentrerei su di lui e sul suo colossale machismo se non dovessi mantenere vivo l’interesse per la storia struggente della piccola Sahara Torres e del suo sfortunato padre, Keefe Torres, che continua la narrazione con un tono di voce da bar.
“La mia bambina! Si è avvicinata a me, mi ha abbracciato e agitando all’aria il suo Leonardo Di Caprio di pezza mi ha chiesto: Papà, perché la mamma non è qui con noi?”
“E tu?” domando: “Cosa le hai risposto?”
“Le ho detto la verità. Ha cinque anni ma è piuttosto matura per la sua età. A Natale non mi chiede mai né bambole né dolciforni, ma scatole di puzzle e modellini in scala di aerei da guerra americani. Ci crederesti?”
“Non so come facciano” sorrido: “Io non sono mai riuscito a montarli.”
“Neanche lei” dice Keefe: “Di solito mordicchia i pezzi d’assemblare e mangia le tessere, ma scommetto che un giorno …”
Ordina altri salatini e un altro giro di alcol.
“E qual è la verità, Keefe?”
Infila la mano destra nella ciotola e comincia a nuotarci dentro.
“Le ho detto: la mamma è in cielo, amore mio!”
“E lei?”
“Cosa vuoi che abbia risposto. E’ una bambina e i bambini non smettono con le domande fino a quando noi non esauriamo le risposte, la fantasia e la pazienza. Mi si è avvicinata, mi ha stretto forte a sé e mi ha sussurrato: e come mai la mamma è in cielo, papà?”
“E tu?”
“Le ho detto che era arrivato il suo turno, che così è la vita, che un giorno ti occupi della famiglia, lavi i panni, stiri, pulisci i pavimenti, rassetti e fai l’amore con il tuo uomo e un altro giorno ti ritrovi lassù perchè, senza troppi giri di filosofia, è il tuo turno”.
Indica col dito indice il soffitto. Lo guardo assieme a lui. Ci ritroviamo in due, per metà pieni d’alcol e per metà pieni di follia metropolitana, a osservare una pittoresca lampada a led incastonata tra due travi in legno, il “lassù” più in alto che i nostri occhi possono fissare.
Toglie la mano dal tetto, la mischia tra i salatini e poi la rimette nella tasca della giacca.
Tira fuori una foto della moglie.
“Ti piace?” mi chiede.
“Direi!”, rispondo: “Adesso cominciamo a ragionare. Certo, anche la bambina si farà, ma lei … “
“No, non parlavo di mia moglie” mi strattona, “parlavo della foto: si vede che l’ho scattata con la Reflex?”
Mi tira la maglia Benetton spargendoci sopra del sale e dell’olio che non verrà più via a meno che non usi Swiffer sgrassante per indumenti delicati, l’unico a quanto pare, che riesce a spazzare via le macchie più difficili mantenendo l’odore di fresco pulito, senza togliere ai nostri capi la loro delicatezza e la loro morbidezza. In più, da quanto ho sentito, oggi è anche disponibile ai fiori di arancio e di calendula.
Banderas fa cenno a Keefe che il locale sta per chiudere, chissà con quante cose ha chiuso nella sua breve ma intensa vita, quel ragazzo. Ha chiuso con la droga, la delinquenza, le uccisioni, la violenza e adesso sta per chiudere il Banana Chic. Quante cose ci sarebbero da dire sul suo conto, se solo lo conoscessi.
L’unico conto di cui mi porta a conoscenza è quello di Keefe, una divina commedia di debiti che anche oggi non ha intenzione di saldare.
“Chissà quanti conti hai saldato tu, Banderas, non è così?”
Ma non mi risponde, forse ho fatto una domanda che non avrei dovuto fare, forse ha capito che so troppo e adesso deve sgozzarmi e nascondermi nel sottoscala. E’ vero, non abbiamo sottoscala al Banana Chic, ma avevo intenzione di farne costruire una molto presto. La mia vita potrebbe dipendere dalle ferie di un falegname. E io che li ho sempre derisi per il loro assurdo vizio di costruire bambini di legno.
Keefe mi abbraccia e mi dice che adesso si sente meglio. Poi se ne va barcollando. Niente mancia, niente saldo.
“Non sai quanto mi sento meglio io” dico a Banderas ridendo: “C’è sempre di peggio, amico mio!”
“E perché mai, signore, si sente meglio?”
“Beh, caro ragazzo, killer violento o ladro di opere d’arte che ti nascondi dietro a questo bancone per farla franca dalla Yacuza , io avrò tutti i problemi del mondo più uno, ma quello lì, con la moglie morta e una Reflex scadente più della sua Polaroid, ne ha di certo uno in più di me”.
Banderas toglie le impronte di olio e sudicio dai bicchieri in vetro: è abituato a non lasciare traccia, lui.
“Keefe? La moglie morta? Ma no, signore, come l’è venuto in mente? Sua moglie fa la Hostess per la Pan Air. Lo ha lasciato solo a casa ad occuparsi della bambina. Non ha ancora digerito la cosa, è qui ogni sera a lamentarsene”.
Sono confuso, arrabbiato, scoraggiato, non in quest’ordine ma in ordine sparso. Mi alzo e chiedo a Banderas se ci sono bar aperti a quest’ora.
Mi risponde di no, che l’unico bar aperto a quest’ora sta per servire la colazione.
Mi trascino verso la porta e gli chiedo di non aspettarmi alzato.
“Dove va adesso, signore?” mi domanda il folle omicida redento.
“Faccio un giro all’ospedale” rispondo: “A meno che non ci siano librerie notturne nei paraggi”.

Alessandro Cascio Da: Tutta la maledetta verità su Escobar

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