Dr Feelgood: diario di un tossico

On 30/10/2012 by alecascio

Nel camerino ci siamo io e altre sei persone, tutti potenziali serial killer, masturbatori compulsivi, tossici, schizzoidi e chissà cos’altro. Una ragazzina sui quindici anni è seduta proprio sulla punta della poltrona, tesa e concentrata come un centometrista che attende alla partenza lo sparo del giudice di gara.
Mi chiedo se questa sia la scelta giusta.
Il mio Dr Feelgood mi ha passato tante di quelle droghe che io ho accumulato con certosina pazienza, che potrei indossare mantello e tutina e tirare avanti per anni come superuomo e nessuno si accorgerebbe da dove provengono i miei magnifici poteri. La realtà è l’inevitabile conseguenza di una vita priva di droghe, a me non piaceva, uno che ha sempre vissuto nella meraviglia dell’immaginario non potrà mai accettare storie scontate e piene di oblii come quelle che trovi nella concretezza dello ore del giorno, tra la gente che vive di frasi fatte e spicciole costruzioni narrative fatte di avverbi dissonanti e condizionali buttati lì come numeri al lotto. Ed era bello, sapete, non dover lavorare tanto per la felicità, non doversela costruire pensiero dopo pensiero con fatica e dedizione, ti alleggeriva l’esistenza e potevi concentrarti sulle cose davvero importanti: la fica, l’arte, la fica, la musica, la fica e qualcos’altro che non mi sovviene al momento. Poi ho letto di sto tizio che c’è rimasto dentro e non ne è più uscito, si chiamava Federico e se ne prendeva tanta da farsi scoppiare il fegato e il cuore, un po’ come Morrison e i due Re. Si lamentava che non avrebbe più potuto ingoiare una pillola in vita sua, perché il suo organismo non avrebbe retto. Chiedeva: “Voi conoscete qualcuno che possa aiutarmi? Il mio corpo o il mio cervello? Impazzire o morire?”.
Io non sono uno a cui piace aiutare la gente, di solito mi faccio i fatti miei, non perché non amo il prossimo, ma perché so che se non trovi la forza da solo prima o poi ci ricadrai, così non credo sia corretto sprecare energia per guadagnarti il Paradiso facilitando al prossimo il posto all’Inferno. Se tra le fiamme ci finisci una volta, se non impari a temere il calore ci finirai ancora, è da egoisti fermare chi sta per bruciarsi, io sono per un bel “vai così, fratello, infila quelle tue manacce sporche in quel camino e continua a farlo fin quando quel tuo cervello d’asino non capirà che non è un buon modo per pulirsi le mani, quello”. Sono così, che piaccia o meno, sono così, ognuno deve trovare la sua strada da solo.
Il mio Dr Feelgood era un tipo facile da corrompere, bastava raggirarlo con belle frasi da scrittore, cose del tipo: “Lei sa bene, Dottore, che dalla futilità dell’esistenza non si può guarire. C’è un mucchio di drogati lì fuori che pensano di essere puliti. Fumatori incalliti, bevitori incalliti, puttanieri, pornodipendenti, schiavi del lavoro, diabetici, drogati d’antidolorifici e giocatori d’azzardo. Freud non ha mai curato nessuno, ogni tanto ci vuole un aiutino, andare avanti è difficile, specie oggi, per un giovane uomo che vive nel buco del culo del creato.”
Era un tipo poetico lui, voleva fare l’artista ma ha finito per aprire uno studio e diventare ricco da far schifo, come volevano i suoi genitori e lui è stato costretto a sottostare alle regole e a nuotare nell’oro, povera vittima del patriarcato.
Così mostro a un amico la mia cassettiera dei sogni e lui mi dice che se entrasse la Polizia in casa mia mi chiuderebbe in cella fino alla scoperta della cura anticancro, che secondo i miei calcoli avverrà intorno al tremila, circa qualche ore prima della fine del mondo: sarà l’ultima grande beffa di Dio.
Comunque, è stato Federico a convincermi che dovevo togliermi questa roba dal sangue e dovevo farlo in fretta perché altrimenti mi sarei bruciato e bruciarsi senza prima avere la fama è come andare al ristorante dopo aver mangiato.
Passo tutto il giorno a dormire, per un tossico stare in piedi è come per voi normali correre e saltare. La ragazzina della saletta ch’era un cumulo di nervi è esplosa ed è corsa fuori, fa avanti e indietro nel corridoio. La madre si lamenta di non sapere cosa fare con un signore ben vestito che per quanto ne sa lei potrebbe essere appena uscito da un manicomio criminale, E’ brutta, grassa, malandata, la sua bimba. Forse s’è dovuta confrontare con l’immagine perfetta delle piccole talentuose star della Tv, con le amiche magre e tatuate ed è finita per dover accettare se stessa per quello che è: pessima, un vero e proprio cesso, stupida, incapace di pensare. Spesso s’impazzisce quando si scopre di esser pazzi. Il mio problema comunque è la droga, l’alcol, la bella vita, la voglia di andare a mille, quelle piccole pasticche che mi hanno intossicato e reso facile la vita, splendido dono del Dio della scienza che madre natura rigetta solo per fare un dispetto alla concorrenza. Quando il medico, un primario che guadagna ventimila euro al mese, mi chiama, io rimango in piedi ad osservarlo e gli dico che non trovo coerente riempirmi di droghe per ripulirmi dalla droghe, che non ho più la passione di una volta.
“In cosa?”
“In tutto. Dal pisciare, allo scrivere, io faccio tutto riflettendo sui meccanismi e mi meraviglio sempre come un bambino di fronte a una lucciola”.
“E cosa le dice che quello fosse lei e non le droghe?”
“Me lo dice il cuore”.
“Lo stesso che pompa il suo sangue sporco?”
E’ un figlio di puttana manipolatore di menti che crede di avere più appiglio di me sulla gente. Posso giocare con lui quanto voglio e lo faccio mettendolo alle strette con argomentazioni valide sulle porte della percezione e lui per la prima volta mi ammette che non sa cosa sia giusto o cosa sia sbagliato, lui sa solo che io gli ho chiesto di tirarmene fuori e non sta facendo altro che questo, chiuso il capitolo “belli e dannati”. Attiro a me più stronzi di quanto faccia lo scarico di un cesso, ma ormai sono nelle sue mani, da quando mi ha rifilato le sue pasticche sono una marionetta nelle mani della Santissima Maria Vergine delle Molecole.
Un giorno, da ragazzino, decisi di ornare le mura della mia stanza con disegni a carboncino per renderla artistica. In prenda a un raptus creativo alla Jackson Pollock, disegnai una città in fiamme nella parete centrale, un bambino nero che prendeva a morsi il mondo come fosse una mela, una madre che stringeva a sé la figlia, una mano scheletrica sopra un barbecue e la frase “the power of one nation is the power of one person”, il potere di una nazione è il potere di un una sola persona. Io non so quanto sia follia questa, ma se così fosse, credo sia il modo più geniale e doloroso di vivere la vita. Il dolore è una sensazione forte e per molti, per il me bambino ma anche per molti emarginati esistenti o esistiti in passato, è comunque sempre meglio vivere di sensazioni anche se sgradevoli che essere sedati dalla routine.
Sento il mio cuore battere lento e costante. La mia mano destra sullo stomaco si fa pesante, è come se dei pesi fossero legati ai miei gomiti e le braccia andassero giù, sempre più giù. Le palpebre diventano di piombo, la lingua anche, se volessi parlare farei fatica. Il mio corpo sprofonda nel letto, è come se fosse stato di ghiaccio per tutto questo tempo e si stesse via via sciogliendo. Sento il calore salirmi dai piedi fino al petto. Ora stringo i pugni, ruoto i piedi una sola volta e apro gli occhi.
Il mio Dr Feelgood stamattina mi ha dato le ultime dosi. Mi ha detto:
“Ho visto gente normale fare follie e non mi ha mai fatto male, ciò che davvero ancora non riesco ad accettare è vedere folli commettere atti di assoluta normalità”.
Ho preso le mie droghe e l’ho lasciato seduto nel mezzo del suo impero dorato ad affondare nelle banconote da cento, con la sua ammirazione attaccata al culo come una coda, bello, potente, strafatto di merda ma di nuovo immortale fino al giorno della mia morte.

Alessandro Cascio  – Dr Feelgood: diario di un tossico

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