Il racconto: Ana’s blues shoes (UT Magazine, L’ipocrisia, Ediland Edizioni)

On 03/05/2013 by alecascio

UT Magazine non è un rivista letteraria, ma è La rivista letteraria italiana per antonomasia. Di quelle che non ne fanno più, che costano perchè la letteratura va comprata, che ne fanno un numero limitato e vaffanculo il denaro, che non fa gossip ma dentro c’è solo letteratura, arte, disegnata, pensata, scolpita anche.
Scrivo per loro da anni ormai e a me vengono dati i temi più estremi o negativi come rabbia, solitudine, follia, ira, menzogna, odio, amore, gelosia, ipocrisia, violenza, curiosità, distacco. Il direttore dice che “ce li ho in punta di penna” e lui sa di farmi un grande complimento.
Ho scritto per ben 64 riviste letterarie in tutta la mia vita e UT è l’unica per la quale adesso scrivo, perchè le presentazioni vengono organizzate in meravigliosi locali con bluesman e jazzisti, perchè creano mostre, spettacoli, per loro è quasi una ragione di vita ed è affascinante far parte del mondo di UT.
In queste pagine, il mio racconto “Ana’s blues shoes” per il numero di Aprile-Maggio.

Ana’s blues shoes

Sono chiuso in casa da due mesi ormai, coi giornalisti a fotografare la mia immagine alla finestra come fossi il fantasma di Monteluco.
La sgargiante BMW Z4 color cielo in tempesta l’ho riportata al concessionario per ben due volte, prima di decidermi a tenerla per ornare il posteggio in ebano intarsiato da Rabarama con quelle sue figure snodate e inespressive. Quando Soulier entrò per la prima volta in casa mia, mi disse:
“Amico, hai più stronzate in casa tua che il Louvre sulle sue pareti”.
Si ferma di fronte a un vecchio quadro di Keith Haring e mi chiede che cosa rappresenta, poi accarezza senza rispetto una delle quattro lattine di Piero Manzoni e “cosa significano?” domanda dopo aver letto balbettando “merda d’artista” sull’etichetta minimal giallo sporco.
“Che i ricchi hanno paura del vuoto” rispondo, nonostante la mia letteratura mi disegni semplice come un bicchiere di limonata, com’ero prima di sposare Michelle, un editore e due milioni e mezzo di lettori.
Soulier mi prepara una dose s’un tavolo da diecimila euro come fosse un comodino Ikea e “trova te stesso, amico mio” dice con il disincanto di un tossico che vive alla giornata, all’ora, al minuto per provare l’assoluto con il minimo indispensabile.
Cristo Dio, Soulier, io è da un secolo che l’ho già trovato. Era in un angolo di strada parigino a bere southern e a chiedere lo sconto a una puttana spagnola e lì l’ho lasciato perché, nonostante l’aspetto trasandato, sembrava starci bene a contatto con la fragilità, l’ostilità e la miseria, lo faceva sentire più vicino alla gente, quella vera, quella dei luoghi remoti pieni di facce numerate che non saranno mai niente oltre a una sorsata d’acqua salmastra in un oceano di folla compassato dalla chiglia delle navi e dal cherosene.
Dice: “Allora chiudi una volta per tutto con il sesso a pagamento o i giornali ti faranno fuori prima o poi”.
Ho già smesso, è da anni che non porto la mia donna fuori a cena, ma con Ana non riesco a smettere, non riesco a rinunciare a quella sua spensieratezza, poco m’importa che abbia il colore della terra bagnata, l’odore dei fiori calpestati e ombre talmente egocentriche da far voltare i ciechi al suo passaggio, a me di lei piace la sua rilassante superficialità, il suo sorriso vuoto, la sua impermeabilità ai più profondi quesiti della vita: dove andiamo, da dove veniamo, perché questo continuo viavai? Vado a comprare un paio di scarpe, risponde Ana, vengo dal negozio di scarpe, perché mi piacciono le scarpe. Eppure sembra imperniata di una mistica intelligenza, quella che c’è negli occhi dei Lama usciti dai monasteri, dei bambini che vedono per la prima volta una palla rimbalzare. Sembra aver capito che non c’è niente che conti di più, per camminare, di un paio di scarpe, perché con quelle non senti dolore e stanchezza e sopratutto non ti fanno mai scordare d’avere i piedi.
Tiro un po’ di white baby e urlo: “Cristo, Soulier, che ne dici se smettessi con questa roba invece?”
Lui balza indietro poggiandosi con forza sullo schienale d’un comò del settecento e si lamenta: “Uoh, uoh, uoh, ragazzo, la mia bambina ti sta tenendo in vita da sessantasette giorni e sei ore esatte, saresti morto senza, saresti appeso per il collo a quel bizzarro lampadario”.
E’ un candeliere del settecento, ma per lui è solo un appiglio per depressi senza prospettiva.
“Smetti di andare a puttane e goditi la tua donna, non ride mai, ma ha un culo che è pura gioia”.
Ana è in perenne dormiveglia, quando i sogni si fanno più nitidi e i nostri occhi cominciano ad accogliere la luce di un nuovo giorno che, chissà cosa ci regalerà e di che griffe sarà. E’ la spensierata Yellow Submarine incastrata tra la malinconia di Eleonor Rigby e la crudezza di Doctor Robert in un album dei Beatles, è la mia rovina stampata a tiratura infinita sulla copertina dell’Express.
“Una sola volta ancora e porrò le mie scuse al pubblico per aver creduto di potermi godere la vita”.
Soulier sorride e fa così con la testa, poi chiama “bimba, vieni su e dai quel che vuole al signore”, ma Ana è già a metà scala, sicura che l’avrei rivista almeno un’ultima volta.
“Tu sei un povero pazzo, amico mio, un povero e viziato pazzo cocainomane che ama lasciarsi seviziare. Prenditela, oggi offro io”.
Le guardo i piedi nudi e li accarezzo.
“Dove sono le tue scarpe, amore mio?”
“Non ne avevo un paio decenti” risponde, “la moda è così indecisa ultimamente”.
Le andremo incontro, alla moda, usciremo dal retro e rimarremo assieme un’ultima volta a lasciarci adulare dalle vetrine sulle Champs Elyseés e dai tacchi a spillo.

A. Cascio – Ana’s blues shoes

Potete acquistare i miei romanzi in libreria, su www.ebay.it, su www.ibs.it, www.lafeltrinelli.it, www.inmondadori.it o su www.libreriauniversitaria.it

Trovate TUTTI i miei libri editi e inediti solo su:

Touch and splat, il fumetto, edizioni ESC/Il Foglio con la prefazione del maestro del cinema Ernesto Gastaldi (sceneggiatore di C’era una volta in America e Pizza Connection) ora anche su:

Comments are closed.