Le Jeune

On 16/09/2016 by alecascio

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Olivier si presentò al crepuscolo con un’ora di ritardo e non si scusò neanche.
Disse: “Non mi sembravi il tipo che arriva puntuale agli appuntamenti, per questo ho ritardato, proprio non c’hai la faccia. Io, vedi, ho i classici modi di chi arriva puntuale, ma tu, guardati”.
“Ti ricordo, Olivier, che sei tu ad essere arrivato in ritardo”.
“Già, ma sei tu ad avere la faccia del ritardatario, ricomponila in qualche modo e vedrai che la prossima volta arriverò in orario”.
A disegnare volti era bravo, ognuno era ciò che lui voleva e non aveva intenzione di cambiare. Non sapevo ancora il perché mi avesse convocato, ma era stato bravo a convincermi creando con parafrasi e poesia, l’alone di mistero che mi aveva spinto a tornare dove non ero più gradito.
Disse: “I clienti chiedono di te, specie uno di loro, un certo Mister Corbouisier, dice di conoscerti e giacché portava un bel vestito e una cravatta, ho pensato che potesse interessarti”.
Sbottonai la parte bassa della camicia e gli mostrai la profonda ferita ricucita in malo modo da una delle sue puttane e non dissi altro, mi aspettavo che capisse da solo, ma invece:
“Ho visto soldati senza gambe trascinarsi sotto i colpi di mortaio” disse, “non crederai di impressionarmi”.
Non sembrava affatto tipo d’aver fatto la guerra e se l’aveva fatta era stato un traditore, una spia o un disertore.
Che non avevo molti soldi lo si capiva dai miei stracci e dal fisico minuto che m’era venuto mangiando pane vecchio raccattato dalle ceste lasciate incustodite dai fornai. Mi sedetti un attimo, mi derise e lo lasciai fare e gli mostrai il dito medio senza riguardo perché era lui ad avere bisogno di me.
“Credi davvero che io abbia bisogno di soldi?” mi chiese: “Guardami, ho mangiato tanta di quella trippa oggi che non riesco a vedermi le scarpe”.
“Ed è per questo che non ti scopa più nessuno, è per questo che hai bisogno della tua puttana migliore”.
Agitò le braccia, quelle poche volte in cui rimaneva senza parole lo faceva sempre, si muoveva come se volesse spiccare il volo.
“Ho tante di quelle puttane, ragazzo mio, che potrei smettere per sempre di dare il culo. Ma hai ragione, il mio non è così richiesto come il tuo e da me non sono mai venuti vecchio uomini d’affari vestiti come Mister Corbousier, potremmo fare soldi, potresti entrare in affari con me, d’altronde ti ho allevato io, mi disturba vederti ridotto così”.
Avevo imparato a non credere a una parola di quel che diceva, eppure ogni volta che un briciolo d’anima s’intravedeva in lui, mi facevo ammaliare come un piccione affamato e acconsentii a rimettermi in gioco.
Mi portò nel suo appartamento e disse alle sue serve di lavarmi, depilarmi, rifocillarmi, massaggiarmi e truccarmi come mai avevano fatto prima.
“Remi” mi salutarono, “siamo felici che tu sia tornato”.
Chiesi loro di togliere quelle ridicole parrucche e di chiudere la porta.
“Anch’io sono felice di rivedervi, ragazzi, ma fin quando nessuno ci osserva, per favore, siate voi stessi”.
Olivier non si fece attendere, entrò scalciando la porta e urlò: “Allora? Avete una sola ora e non avete ancora cominciato”.
“Se te ne stai qui ad urlare ancora” gli dissi, “avremo un’ora meno un minuto”.
Si guardò intorno, rifletté un attimo e ok, disse, poi ci lasciò soli.
“Hai fatto bene” mi disse durante il cammino per il bordello, “dare il culo per i soldi è quel che facciamo tutti, in fondo e se si svuotasse ogni uomo della dignità, dell’autostima e della coscienza, si scoprirebbe che tutti batterebbero per vivere di agiatezze piuttosto che sgobbare in luride fabbriche”.
“E cosa resta?” gli chiesi.
“Cosa vuoi dire, ragazzo?” rispose.
“Cosa resta di un uomo se lo svuoti di dignità, autostima e coscienza”.
“Il denaro” urlò, “il denaro” rise.
Noi giovani ragazzi di provincia eravamo i più richiesti a Parigi in quello squarcio di vita inutile e corrotta che aveva seguito la grande guerra. Dopo aver visto la morte gli uomini cambiano, non sempre in bene, si accorgono d’un tratto di essere fragili come cristalli e di potersi infrangere in qualunque momento sul pavimento spinti dal vento o da un guidatore distratto e allora cedono a ogni tentazione. Molti poi, ancora storditi da tutto quel fragore, si lasciavano andare alle delizie della carne o al gioco per smettere di imbambolarsi di pensieri.
Noi, Les Jeunes ci chiamavano, eravamo i loro preferiti, la loro perversione più richiesta e maggiore era il prezzo quanto maggiore fosse l’afflusso di bastardi provenienti dai piani alti che pretendevano fosse assicurata loro la completa anonimia.
Olivier in questo era un principe, avrebbe sputato tutti i denti piuttosto, ma non avrebbe mai tradito un suo cliente. Io lo avevo fatto, una sola volta e mi ero preso cinque centimetri di lama.
Ma adesso era diverso, adesso ero tornato, bello ed elegante, meno fragile di quel che tutti pensavano, mascolino e femminile quanto bastava per dare al porco ciò che il porco vuole ed ottenere dal porco ciò che io volevo.
Mi si avvicinò quest’uomo, impaziente, era raffinato e non aveva nulla dei soliti gay borghesi che frequentavano Olivier, mi somigliava in fondo, entrambi lo facevamo per soldi, lui per spenderli e io per guadagnarli.
“Mister C., questo è il ragazzo che cercava. E’ molto richiesto e molto volubile, ma sono riuscito a liberarlo apposta per lei”.
Cominciò a osservarmi, poi si concesse una carezza, segnò con un dito ogni angolo del mio viso ed estasiato mi disse: “Sei la puttana più bella di Parigi. Si parla molto di te nei salotti, ma non avevo idea che potessi essere tanto avvenente”.
Non ci era consentito dialogare se non nelle stanze a noi destinate, eravamo carne in alcuni casi, quadri da deflorare nel mio e lasciavamo a loro il compito di guidarci, spogliarci e usarci come meglio credevano.
“Seguimi” mi disse.
Olivier mi afferrò per un braccio e mentre l’uomo era di spalle mi redarguì: “Non dargli respiro, ingoia il suo sperma, raccoglilo da terra se è necessario, fagli credere di non aver più bisogno di una donna in vita sua e sarà nostro per sempre. Non voglio che torni se non con un sorriso felice e le tasche vuote, intesi?”
“Sei tu il capo, Olivier” gli dissi e mi mostrò il pugno e una smorfia.
Non era stato un caso se Mister Corbousier o qualunque fosse il suo vero nome, si era presentato quel giorno. Lui come altri otto membri della borghesia erano stati attratti dalle foto di Henri, un giovane fotografo che s’era fatto strada durante la guerra. Mi aveva dato dieci franchi per accompagnarlo a cena ed Olivier si era subito detto d’accordo ma solo se avessi accettato il cibo e dato a lui tutti il guadagno.
Henri Cartier-Bresson mi chiese per ore delle mie frequentazioni, era così affabile che non riuscii a non fare alcuni nomi, ma giusto per deriderli. Per quello presi la coltellata allo stomaco, solo per una stupida chiacchierata con un fotografo.
“E’ gente che potrebbe schiacciarci tutti con un cenno” mi disse Olivier dopo avermi ferito e calciato nonostante fossi in terra sanguinante, “potrebbero già aver ordinato di ucciderci, di farci chiudere, potrei trovarmi domani stesso con un sasso legato al collo nel fondo del fiume solo perché tu hai deciso di usare la bocca in modo differente per una volta. Usala come ti ho insegnato, è la cosa più semplice del mondo”.
Per lui forse, per lui che di una donna non era mai stato innamorato, che non aveva altro amore all’infuori del denaro, ma noi che eravamo ancora fieri di esser uomini e avevamo in mente grandi sogni, una famiglia e dei figli forse, se fossimo riusciti a tenere segreto il nostro passato, noi subivamo un’atroce supplizio.
Marcel mi diede delle stuoie, dentro infilai la Leica che Henri mi aveva donato e che avevo nascosto nel borsello. Mi aveva chiesto di tenerla al sicuro fin quando non fosse arrivato il momento di usarla. Al contrario di ciò che Olivier pensava, ero così fedele e onesto da non venderla neanche coi crampi allo stomaco per la fame.
Feci tutto ciò che Mister C mi chiese, mi lasciai scopare e urlai di piacere, mi feci delicato, sottomesso, lo feci sentire il padrone che era stato abituato ad essere. Quando accese la sua sigaretta mi misi in un angolo proprio dietro all’arco che separava la stanza dal bagno.
“Potrei portarti con me” mi disse mentre spingevo il bottone della macchina fotografica senza avere idea di cosa inquadrare: “Ci divertiremmo tanto tu ed io, ma questo è un mondo bigotto che nonostante l’orrore passato ha deciso di legarsi ancora di più al cielo che alla terra. Eppure hai mai visto un cielo crollare? E’ la terra che crolla, amore mio, e fin quando è ben salda sotto i nostri piedi dovremmo godercela”.
Mi raccontò di come i loro soldi dopo la guerra valessero un quinto di quanto valevano prima, di come il Partito Popolare stava cercando di imporsi e di superare la grande depressione.
“Più soldi per me, amore mio, più soldi per te” rise e quando mi chiese cosa stessi facendo, io nascosi la Leica e tornai da lui. Mi abbracciò e mi fece schifo più di quanto m’aveva fatto ribrezzo il suo cazzo. Ma sapevo che da qualche parte, in un altro bordello, un altro Jeune stava incastrando un fascista, che il Fronte Popolare stava tramutando i pompini in un’arma bellica senza precedenti.
“Non c’è altro modo per fermarli, Remi” mi disse Henri al tavolo dell’osteria tempo prima, “saprò io come pubblicizzarti nei loro salotti e credimi, chiederanno di te. Non avrai mai una medaglia per questo, ma quando il fascismo sarà spazzato via, Remi, potrai guardare i tuoi figli negli occhi e dir loro che tu con noi hai contribuito alla causa, che sei stato uno di quegli eroi del popolo di cui nessuno parlerà mai, padre costituente della nostra libertà quanto Robespierre, solo che tu hai usato il culo e non la baionetta”.
Sorrisi. Era la prima volta dopo anni che qualcuno mi trattava come un essere umano nonostante conoscesse la mia vita. Dietro l’angolo gli feci un pompino, non piacque a me e neanche a lui, ma dovevo riabituarmi alla civiltà e ai consueti modi per dire grazie.

A.Cascio – Les Jeunes

 

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