Sicilia: io bambino negli anni della guerra

On 16/08/2018 by alecascio
Sono cresciuto negli anni della guerra, quella che voi non avvertivate neanche. Non ve ne ho mai fatto una colpa perché io non percepivo le vostre strade pulite, i vostri paeselli colorati, i vostri “grazie” “prego” e “per favore” che da piccolo mi sembravano cose da froci: le vostre grandi città piene di auto di lusso e vip della televisione…
“Né, guarda, sono un milanese, fica. Ho conosciuto Mike Bongiorno e sono andato in vacanza con tutta la famiglia. Hey papi, ti piace la barchetta?”
La guerra non la dimentichi, se cresci per le strade del triangolo mafioso e quella gente la conosci per davvero, ci esci assieme, la incroci ogni giorno, poi quelle facce ti rimangono impresse nella mente, specie quando te le gonfiano nei TG, che pensi: “Tutte minchiate.”
C’ho amici chiusi in due metri quadri di cella per vent’anni e altri in poco meno, lo spazio di una cassa da morto. Al funerale di un caro amico che mi chiamava “quello di Beverly Hills”, suo cugino mi raccontò che non lo avevano manco potuto vedere un’ultima volta, perché c’aveva così tanti buchi che per aggiustarlo ci volevano due chili di stucco.
Da ragazzini quando c’era un morto ammazzato lo sapevamo sempre per primi, perché già a sei anni ce ne andavamo in giro con la bici da cross e anche se ai genitori non dicevamo mai che uscivamo fuori dai giardini del condominio, alla fine scendevamo per Via Bologna e ci facevamo tutta Via Kennedy fino alla fontana urlando “vrreeem, vreeem” come se guidassimo un motorino. Ci organizzavamo in bande e una volta un amico lo gettarono in due dentro un bidone della spazzatura. Io non ebbi il coraggio di far nulla ma lui non mi rimproverò perché lo sapeva che ero un pezzo di pane. Dovetti aspettare i dodici anni per iniziare a fare a pugni e, per dire, non è che faccia poi tanta paura, alla seconda volta ti abitui.
Non l’ho mai chiamata Mafia, fin quando non ammazzarono mio zio non pensavo neanche che esistesse. Fu assassinato e sciolto nell’acido, perché i boss ai tempi di Totò Riina scadevano di continuo e andavano cambiati. Ammazzarono lo zio Piero che per me era un eroe, anche perché somigliava all’attore di Superman e lo zio Tanino, poi lo stesso giorno l’amico Totò Rinella che c’avevamo fatto una mangiata a Milano. In pratica gran parte del mandamento di Resuttana.
In quel periodo siamo stati rinchiusi per un mese da mia zia Piera, perché la polizia non trovava il corpo di zio Piero e allora si pensava fosse scappato via. Al tempo c’erano le vendette trasversali. Ti ammazziamo tutta la famiglia fino a quando non torni.
Veniva sempre un uomo con altri agenti in divisa e allora io dovevo andarmene da un’altra parte. Parlavano per un po’, poi mia zia piangeva e urlava: “Allora io che cosa ci faccio qui rinchiusa?”
Al tempo odiavo quell’uomo, poi capii che lui era il buono, non il cattivo.
Una volta uscimmo, andammo a comprare la frutta anche se non potevamo, Mia zia Piera ci rimproverò ma che si fottesse, la casa puzzava di vecchio e di sarde salate. Che poi manco c’erano le sarde salate, era per dire che sapeva di cucina e di ciccioni sudati.
Duomo Connection si chiamava, lo smercio di droga dal Sud America dove c’era Escobar che ce la dava a prezzi buoni, la facevano arrivare a Punta Raisi e poi Don Tano la vendeva. Non lui, ma chi per lui. Polizia, aeroporto, tutto comprato, arrivava nelle stive assieme alle valigie. Tanto semplice era.
Dicevo prima che dai morti ammazzati ci arrivavamo assieme ai carabinieri, anche se li perdevi di vista potevi sentire le sirene e capire dov’erano diretti. Il morto alla pompa di benzina era lo zio del mio migliore amico.
“Allora, lo hai visto il sangue?”
“Minchia, è mio zio”.
E allora non era più tanto divertente.
Quando hanno ammazzato il papà di un compagno di scuola abbiamo detto una preghiera, ma a saperlo, che era un mafioso, manco quella gli avrei detto.
Tutta l’infanzia a cercare di non farti ammazzare.
“A quello lo devi rispettare. A quello lo devi conoscere. A quello lo devi salutare. A quello lo devi scansare.”
Una volta mi fecero un torto, un amico che ora è morto mi disse: “Andiamo che conosco uno”.
Questo prese la pistola e mi sussurrò: “Là dentro è, se vuoi ci spariamo”.
“No, no” dissi, “nessuno spara a nessuno, però ti ringrazio”.
Ora lui è in galera per omicidio, suo padre lo chiamavano L’Urvicatore, era quello che seppelliva i morti di Mafia a Valguarnera, detta Malaguarnera. C’aveva una pala meccanica, faceva le buche e la gente scompariva. E’ una storia che sanno tutti, ma alcuni dicono che non è vera e altri sì.
Ora tu pensi: “Allora sei mafioso!”
Ti dico di no, ti dico che qui tutti conoscevano tutti, a meno che non cambiavi paese come mio fratello e ti facevi gli amici al mare, che per quanto anche lì c’era lo schifo era sempre meglio delle spedizioni punitive con le spranghe alla discoteca Rosamunda.
Mio padre e mia madre lavoravano in ospedale, entravano la mattina alle otto e tornavano alle sei del pomeriggio. Il periodo delle elementari lo passai alle case popolari, dove viveva mia nonna, una donna forte e possente che ti lasciava libero di fare quel che volevi perché dovevi farti le ossa. Alle case popolari c’era il campetto da calcio, ma noi non potevamo giocare perché avevamo picchiato il figlio di Cucciarrè e allora se ci vedevano erano guai. Un giorno ce le diedero perché ci trovarono nascosti a guardare la partita. Al mio compagno di banco sfondarono la testa con una pietra, ancora oggi c’ha il buco e dicono che sia un po’ pazzo per quello. I mafiosi erano così, nessuno li denunciava e noi non sapevamo neanche che si potesse fare, mica ce lo aveva detto nessuno cos’era giusto e cosa sbagliato, per noi se vincevi eri quello forte e se perdevi dovevi incassare la sconfitta e stare zitto. Solo due dei miei amici delle case popolari sono in galera, gli altri no, uno fa anche il dentista.
L’ultimo amico mafioso di qui che ho avuto, una volta fermò un altro mafioso di un paese vicino e lo sgridò di fronte alla ragazza. Sto tizio era forte, le dava a tutti, dicevano che aveva la coda, “a curidda”, un osso in più della colonna vertebrale che rendeva gli uomini quasi invincibili. Eppure rimase zitto e chiese scusa. Da allora capii quanto era potente il tipo con cui camminavo.
Ora sta scontando venticinque anni e glielo chiederei, mentre si raggomitola in un lettino con le molle arrugginite, se in gabbia si sente ancora il capo di sta minchia, se ne valeva la pena.
C’è stato un punto della mia vita che ho pensato: “Le cose sono due, o sono tutti mafiosi o io li attiro come mosche”.
Mai mi hanno chiesto di fare qualcosa di sbagliato, mai mi hanno neanche trattato da inferiore e questo non me lo spiego.
Borsellino e Falcone per quelli come me sono degli eroi, di quelli veri, altro che Avengers. Voi ve ne state lì a festeggiarli come se vi avessero salvato da qualcosa, ma lo sappiamo tutti che non ve ne frega un cazzo, a voi non è cambiato mai niente, ma qui invece, sapeste…
Non dico che spazzarono via la Mafia, ma posero le basi per farlo e nonostante ammazzassero un magistrato dopo l’altro, un uomo in divisa dopo l’altro, questi continuavano lo stesso.
Sti matti.
In una settimana ammazzarono tre persone, uno lo trovarono a pochi metri da casa mia carbonizzato, ma a quanto pare lo avevano ammazzato ad Alcamo e lo avevano buttato di fronte casa di un altro mafioso per dargli un avvertimento.
“Devo andare a casa” dissi alla Polizia.
“Di qui non puoi passare”
“Ma io sto lì, quella è casa mia”.
“Gli dobbiamo chiedere nulla?” domandò il poliziotto giovane a uno serissimo che sembrava il capo.
“No, lascialo andare”.
Vidi la camicia indossata da una cosa che sembrava un tronco carbonizzato. Non la dimenticherò mai. Era una camicia di flanella a quadri blu e neri.
Ma a chi frequenti, ma dove te ne andavi?
Ditemelo voi che cosa dovevo fare, dove dovevo andarmene.
Qui vivevo, qui uscivo e se succedevano le cose non era colpa mia, cercavo di farmi rispettare come potevo e poi finalmente trovai gente per bene, sembrava che dopo Falcone i ragazzi alla mia età avevano imparato cosa fosse il bene e cosa il male, da che parte stare. Con quelli siamo amici ancora adesso, non ci vediamo spesso ma sono felice quando ne vedo uno.
Gli altri invece, che fine hanno fatto…
Quando ammazzarono anche Borsellino gli amici di Palermo piansero: “E’ finito tutto” dicevano guardando la TV, “è finito tutto”.
Invece tutto doveva cominciare. Nel mio paese misero i militari e le torrette di guardia, anche Palermo ne era piena. Noi portavamo la pizza a un ragazzo in mimetica rinchiuso in una cabina col vetro antiproiettile che sembrava sempre spaventato.
Era del nord, quasi si meravigliava di trovare persone per bene.
Una volta gli dissi: “Non ti preoccupare, qui sembra cattivo ma sparano una volta ogni tanto”.
Per noi anche una volta al mese era “ogni tanto” e quando mi rispose “minchia”, in siciliano, come a dire, “cosa stai dicendo? Guarda che ci sono posti dove non ammazzano nessuno” pensai che fosse lui quello strano.
Il ricordo più vivo che ho della Mafia è al mare, quando Buscetta ancora non ci aveva spiegato come funzionavano le cose, quando tutto si accettava, prima del maxiprocesso.
In Agosto la mafia industriale in accordo con la mafia municipale doveva scaricare in acqua tonnellate di vinaccia e allora noi dovevamo farci quanti più bagni possibili perché per dieci giorni non avremmo potuto. A noi bambini sembrava normale e allora in quel periodo facevamo altro. Io per esempio c’avevo la piscina gonfiabile.
“Fatti il bagno adesso che poi non puoi fartelo più”
E l’acqua diventava tutta rossa e le spiagge si svuotavano.
E l’aria sapeva di vino.

AC

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