L’ultimo bacio prima di morire

On 16/02/2019 by alecascio

Come alcuni elementi in natura sembrano nati per unirsi tra loro a sfavore di qualunque altro, la mente di due esseri umani non può prescindere dall’innamorarsi perché l’amore concerne il pensiero che come il fiato affannato di un viaggiatore, si distacca dalla materia e arriva oltre appoggiandosi ad altri pensieri preesistenti come fossero anelli di una catena. La nostra mente sa già in tenera età quale sono le forme migliori e i suoni più piacevoli per essa e in quanto l’uomo è portatore supremo di forme e suoni, non può sottrarsi allo stesso richiamo degli elementi che compongono armoniosamente l’universo. Quindi non lottai un solo istante contro i sentimenti che nutrivo nei suoi confronti, contro quel magnetismo congenito, perché sapevo sarebbe rimasto per sempre e avrebbe cercato un legame anche in ambienti insalubri e inadatti e semmai non ci fossimo mai incontrati sarei rimasto permeato comunque di quella forza attrativa, ci avrei convissuto per il resto dei miei giorni.

Mi svegliò il suono di una sirena che come un’arpia urlava al mondo assopito di tenersi pronto, che presto o tardi sarebbe toccato a qualcun altro, che la giostra non si sarebbe mai fermata, fino a quando l’ultimo stronzo in vita non avesse implorato al cielo di chiamarlo a sé senza troppi preamboli. Mi toccai il viso barbuto grattuggiandomi i palmi delle mani, mi alzai e serrai le finestre perché al bingo dell’Ade sorteggiassero un altro anche quel giorno, che in dieci metri quadri nulla sarebbe mai potuto accadermi. Mangiai una ciotola di mais e lo mandai giù con un bicchiere di whisky: quello sarebbe stato il mio pieno di vitamine per la giornata.
“Mi stupisci sempre, sai?” sentii una voce alla Cohen rintronarmi alle spalle che come una madre apprensiva mi diceva che: “Ogni volta che credo tu abbia raggiunto il fondo, riesci a sovvertire il mio concetto di fondo e rielaborarlo a tuo modo”.
Versai un bicchiere anche per lui, lo feci doppio sperando che per una volta si rilassasse.
“Non ho né stomaco né budella, cosa dovrei farne?”
“Tienilo in mano e fingi di essere di compagnia”.
Rise con quel suo charme da lord inglese malvestito e mi ordinò di mettermi qualcosa a dosso e di darmi una lavata, di uscire finchè potevo.
“Con un avvoltoio sul groppone? Preferisco aspettare che mi cada quel lampadario in testa piuttosto”.
“E’ una lampadina attaccata a un filo. Non credo sia quella la morte che ti aspetta”
“Ah sì? Che progetti hai allora?”
“Non sono un architetto, sono un tassista, non sono io a fare i progetti qui, ma parlando francamente sto rompendomi le palle di aspettare dentro una stanza buia e di vederti dormire. E’ questo il tuo modo di affrontare la cosa?”
Sapevo quale fosse il suo scopo, fiondarmi nella giungla affinchè potesse succedermi in fretta l’agognata disgrazia e poi tornarsene ovunque abitasse a mangiare vermi e spolverarsi le ossa.
“Beh, puoi scordartelo”.
Sentii il pavimento massaggiarmi le piante dei piedi per un istante, il non so cosa in vetro che avevo messo sul comodino perché la superficie dei mobili è fatta apposta per poggiarci sopra inutulità che facciano pandan con l’idiozia umana, oscillò.
“Mi sa che è arrivato il tuo turno. Non mi aspettavo il terremoto, pensavo più a un suicidio o a una cirrosi epatica visto il degrado in cui vivi” si preparò al viaggio rimboccandosi le maniche.
Mi vestii in fretta, misi la testa sotto al lavandino e in due minuti scarsi ero già per strada pronto a osservare un palazzo del settecento polverizzarsi di fronte ai miei occhi, ma non successe nulla di tutto quello.
“Allora?”
“Falso allarme, credo”
Mi fiondai su di lui e lo afferrai per il cappuccio sputandogli in faccia la mia rabbia, ma senza pelle non ne poteva sentire il bagnato, né l’acido.
“Se manipoli la mia mente un’altra volta con te ci faccio il brodo!”
“Non puoi uccidermi, non puoi farmi male, non puoi neanche smontarmi come un Lego, perché continui a comportarti come se non lo sapessi già?”
Iniziai a camminare senza alcuna meta, così, giusto per farlo felice, era come portare una casalinga frustrata in giro per vetrine. Osservava tutto con quello stupore che io che le viscere le avevo non provavo più da tempo.
“Non dovresti essere abituato a tutto questo?”
“Non alle follie di questo pianeta. Opero in molti altri corpi celesti abitati, ma voi siete gli unici con questo livello di fantasia. Gli altri sono più pragmatici, mangiano per aliementarsi, vestono per coprirsi dal freddo”
“Sono anni che ci spiano, potrebbero imparare qualcosa”
“Non sanno neanche che esistete e dubito che possano avvicinarsi alla vostra galassia a cavallo dei loro rinoceronti a tre corni”
“Vuoi dire che noi siamo i più evoluti?”
“No, loro lo erano più di voi un tempo, ma tutte le specie finiscono per autodistruggersi e ricominciare dal principio.”
Girai la piazza un paio di volte ascoltando storie che non avrei mai potuto raccontare alla NASA o ai giornali senza essere etichettato come un matto da rinchiudere in isolamento e d’altro canto tutta quella cultura non mi avrebbe reso un uomo migliore, visto che sarei rimasto uomo per qualche giorno ancora e poi mi sarei unito alla nebulosa di orione o a qualche altra diavoleria celeste.
“Bedřiška non sarebbe contenta di te, sai.”
Gli diedi un cazzotto al mento e mi sbucciai le nocche. Piegato in due dal dolore gli dissi di non nominarla mai più.
Mi trascinò sul marciapiede e si chinò guardandomi dritto negli occhi con le sue buie cavità oculari.
“Non sono stato tuo nemico neanche per un attimo, eppure tu non fai altro che insultarmi.”
“Sei mio nemico naturale”
“Dire che la morte è nemica dell’uomo è come dire che lo sia la vita stessa. Hai una vaga idea di quanta gente ci sarebbe al mondo se non la sfoltissimo una volta tanto? Pensi mai di cosa sareste capaci se non poteste morire? Il caos, vi trovereste a cavalcare rinoceronti in appena un secolo”
“Già, ma io ho quarant’anni e avevo un futuro felice di fronte a me”.
“E quale sarebbe stato? Poltrire per tutto il santo giorno ed evitare la donna della tua vita per paura che pensi che tu non sia l’uomo della sua? Vivere in un monolocale, vendere acquarelli e pensare di sbarcare il lunario da una bancarella in centro? A volte penso che ti abbiano scelto per evitare di portarsi via qualcuno che meriti di stare al mondo”
Si alzò e urlò come un bambino al Luna Park: “Insomma, guardati attorno, ogni angolo è un invito a godersi la vita, che duri un attimo o un secolo, siete colmi di queste splendide opere d’arte luminose sparse per l’intera città.
“E’ l’insegna di un negozio cinese”
“Le insegne dei negozi cinesi, sì, ecco come si chiamano” urlò con enfasi shakespeariana, “le insegne, sono stupefacenti”.
L’amore chimerico è come un male al piede, cammini ma traballi, corri ma arranchi e la tua rotta traccia traiettorie curve. Seppure l’amor logico giungerà a elevarti e la ragione ti reclamerà, sulle punte una fitta ti renderà memoria: non c’è alcuna saggezza, da quando l’uomo incede, che abbia mai sanato un piede zoppo
Bedřiška lavorava in un ristorante a pochi metri da casa mia, l’avevo vista un giorno seduta a un tavolo aspettare la giovane madre entrata a pagare due drink. Ero in bilico con le punte s’un marciapiede. Si voltò a guardarmi e si accorse che anch’io la guardavo, poi chinai lo sguardo e da quel giorno di cinque anni prima non avevo più visto una sola donna per strada, in TV o sui giornali alla sua altezza. Non c’era giorno che non pensassi a lei, non c’era sogno distensivo che non avesse lei come protagonista e m’ero rassegnato a non provare più amore per nessun’altra che non avesse quel sorriso. Dio com’ero diventato pateticamente felice quando mi rivolse la parola per la prima volta:

“Ketchup o maionese?” mi domandò.
Le risposi con il cuore in gola, mi colpii forte il petto e si spostò sotto lo sterno, ma almeno era rimasto in zona:
“Portali entrambi”.
La morte si rivolse a me stupito: “Cristo Santo ragazzo”
“Cosa c’è”
“Tutto qui? Hai la casa piena di arte ispirata dalla sua esistenza e quel che le hai detto è stato solo un ‘portali entrambi’? Cristo Santo e pensavi di morire in pace?”
“Non pensavo di morire affatto e tu dovresti smettere di leggermi il pensiero”.
“Non c’è nulla da leggere, te lo assicuro, è come un libro per bambini ma senza figure”.
“Ha diciotto anni meno di me ed è bella il triplo, tu cosa avresti fatto?”
“L’avrei uccisa, è quello che faccio, non so fare altro, mi hanno creato per questo, ma tu, ragazzo …”
Mi prese il braccio e lo mostrò a un pubblico immaginario come se dovesse smerciare un prosciutto: “Hai sangue, carne, hai delle interiora ancora funzionanti e fai arte inneggiando ai sentimenti e questo è tutto quello che la tua vita ti ha offerto? Ketchup e maionese?”
“No, ho pagato anche quelli”
Mi prese per il bavero della camicia e mi trascinò a forza dentro uno di quei negozi che amava tanto. Mi disse d’indossare il vestito migliore perché quel giorno avrei cenato con Bedřiška e allora sì che sarei morto con onore, anzi, sarei stato felice di andarmene in quel modo.
“Cinese” urlò, “mi dia qualcosa di chic per questo rudere”
Mi chiese di ripetere quel che aveva detto perché il commesso non poteva né vederlo né sentirlo.
“Avete un vestito che si adatti a una cena romantica?”
“Non è proprio come l’avevo detto io ma è simile”.
Provai giacche e gilet lavorati di fretta in qualche magazzino sotterraneo da mani esperte e mi presentai al ristorante di Bedřiška vestito come Bruce Lee al primo colloquio negli uffici di un produttore hollywoodiano. Sotto braccio un ritratto di lei che Morte aveva magicamente teletrasportato da casa mia a Via Mazzini 33.
“Non credo che le renda giustizia”.
“E’ una donna, ogni attenzione anche se goffa per loro merita un rossore sulle guance”.
“E questo dove lo avresti appreso?”
“Cosa pensi che faccia quando dormi e poltrisci? Leggo, mi faccio una cultura, non ce n’è tanta tra quei trogloditi di Andromeda”
Presi un tavolo per due e mi sedetti da solo, se non contiamo Morte che cercava di trovare una posizione comoda sullo sgabello.
“E’ quella?” indicò una signora sulla sessantina che stava reclamando il suo hamburger.
“No”
“Eppure ero certo che fosse quella, c’avrei puntato falce e carrozza”
“Ti ho detto che è tre volte più bella di me”.
“Non ci vuole poi molto. Tutti qui sono più belli tre volte te”
“Non mi sei d’aiuto. Potresti almeno guardare il ritratto”.
“Se stiamo a quel che disegni, ragazzo, potresti anche scoparti il cassiere”.
Passarono due cameriere, ma feci finta di star aspettando l’ispirazione e mi feci portare un bicchiere d’acqua fresca.
Mi tolsi la giacca e rimasi a mordermi i polpastrelli come un cane solitario fino a quando non sentii la sua voce.
Alzai lo sguardo e la vidi, con quegli occhi risplendenti che parevano le insegne dei cinesi, ogni tratto del suo viso era un inno alla gioia, un’anfetamina, avrei voluto essere il migliore sulla piazza, essermi adoperato per raggiungere in grande spolvero quel momento tanto atteso e invece mi ero rinchiuso in un appartamento aspettando che Morte mi desse un passaggio mentre mi consigliava di non abbattermi e di adoperarmi per raggiungere in grande spolvero quel momento tanto atteso.
Morte mi tirò il dito mignolo facendolo scrocchiare.
“E’ da circa un minuto e mezzo che la guardi, sta cominciando a diventare imbarazzante anche per me che ho visto esseri umani cagarsi addosso dopo un attacco epilettico e teenager ubriachi spappolati dagli zoccoli di rinotricorni”
“Allora” mi guardò lei: “Ketchup o maionese?”
“Portali entrambi”.
Mi ritrovai su un carro con un cocchiere a urlare “yooo, yooo”, mi sporsi e vidi il nero a perdita d’occhio dell’infinito sotto di me.
“Ferma questa carcassa. Cosa è successo?”
“Ragazzo, sei un caso perso. Portali entrambi, è questo che è successo. Hai incontrato la donna della tua vita e ti sei rimbambito come un infante dopo una dozzina di ceffoni.”
“Avrei dovuto baciarla, dovevi darmi il tempo”
“Non l’avresti baciata neanche se l’avessi imbalsamata e te l’avessi portata in quel cesso in cui vivevi”
“Dovevi darmi il tempo, non posso pensare di passare l’eternità senza mai averla baciata”.
“Non sono io l’architetto, te l’ho già detto più di una volta. E poi non preoccuparti, sei mesi sono passati in fretta, no? Tornerai in vita presto”.
“Sei cosa? Vuoi dire che sono svenuto da… Ferma questa carcassa”
“Non sei svenuto, sei morto e risorto, come tutti”
“Ferma questa carcassa ti ho detto”
“Quei cavalli non si fermerebbero neanche gli tirassi le redini fino a fargli annusare il loro buco del culo, sono seduto qui per fare scena, vanno dove devono andare”.
Misi le mani tra i capelli e mi raggomitolai su me stesso.
Dopo qualche ora di viaggio sentii le ruote poggiare sulla terraferma.
“Bene, scendi, questa è la tua fermata”
“E l’eternità? Il paradiso?”
“Niente di tutto questo, sei di nuovo sul tuo pianeta ma sei mesi dopo, il tempo del viaggio”.
Le lande desertiche sfiorate dai venti caldi scoprirono i resti di un’utilitaria usata come fortino da un gruppo di scimmie che si spulciavano tra loro. I fatiscenti palazzi diroccati avevano un’aria familiare.
“Non credo siano passati sei mesi”.
“I mesi per noi equivalgono a circa milleseicento dei vostri anni, ma ti troverai bene, vedrai”.
“Sono morto di fronte a lei?”
“Sei caduto come una pera marcia. Ti avevo detto di fare una vita più salutare” disse Morte sistamando la sua carrozza e indicandomi il punto più vicino per cominciare tutto da capo.
Mi diede tra le mani una corda e una manciata di carne secca.
Poi indicò un branco di bestie di fronte a me.
“Ecco, quelli sono dei rinotricorni, sono enormi ma mansueti, sono presenti in tutti i pianeti in decadenza. A volte penso che siano stati loro a ridurre le popolazioni in questo stato”
Mostrai la carne al primo che mi venne a tiro, quello si avvicinò e cominciò a sbavarmi addosso come un cucciolo.
“Siete stati voi, non è così? Fingete di essere docili e invece siete delle bestie assetate di sangue” disse Morte all’animale che scondinzolò anche in sua presenza.
Lo imbracai e lo cavalcai con relativa facilità.
“Sai, non sei come tutti gli altri. So di non dover mischiare lavoro e sentimenti, ma con te è stato diverso”.
Si coprì col cappuccio e “bando alle ciance” disse, “ti ho fatto un regalo, sfruttalo a dovere questa volta”.
Poi mi mostrò il mio disegno: “Ho pensato di raccoglierlo, visto che per te era così importante”.
“Puoi tenerlo se vuoi”
“Non posso appenderlo nella mia carrozza, spaventerebbe le salme, ma lo terrò dove nessuno potrà vederlo”.
Non feci in tempo a chiedergli quale fosse il regalo che aveva in serbo per me che volò via in groppa al suo cocchio.

Sull’uscio di quel che sembrava l’insegna di un negozio cinese, la sagoma di una donna era immobile di fronte a una trasandata friggitrice
“Bedřiška” urlai.
Vecchio bastardo. Ecco a cosa gli era servito quel disegno.
Le andai in contro, ogni mio passo era leggero, per via dei forti venti probabilmente tossici ma anche perché mi sentivo finalmente convinto di potercela fare.
“Bedřiška” chiamai.
“Non so chi tu stia cercando, giovane” mi disse la vecchia spaesata che mi trovai di fronte “so solo che stavo mangiando un hamburger freddo in un ristorante del centro e di essermi ritrovata qui dopo un lungo viaggio in carrozza. Sai dirmi per caso dove diavolo siamo?”
Morte sfiorò la punta dei miei capelli con le ruote della sua carrozza quasi staccandomi la testa e rise di me come mai aveva fatto prima.
“Dovresti imparare a disegnare, ragazzo” urlò fluttuando a mezz’aria “dovresti imparare a disegnare”.

A. Cascio – L’ultimo bacio prima di morire

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