Love dolls

On 24/08/2019 by alecascio

Non avevo mai considerato nulla di lei oltre la fisionomia eccezionale e la facoltà di appagarmi quando più ne avevo necessità e Desirée, dal canto suo, non mi aveva mai domandato nulla della mia vita annaspata, dei sogni rotti, delle mie domeniche fuori sfumate con lunghi brandelli di lunedì che non avrei considerato tali fin quando la calca non si fosse svegliata per andare a fare la fila ovunque ci fosse un’entrata stretta e a tempo. Non aveva amici se non me, che pure ero la cosa più lontana da un amico, ma sembrava che le bastasse, che mi fosse stata concessa la grazia di ricevere in premio l’unica donna disposta ad accarezzarmi l’ego senza chiedere nulla in cambio se non me, cieca di un amore malato ma totale.
Non so dire come presi coscienza della realtà, forse il Southern aveva illuminato lembi adombrati del mio misero cervello attraverso esplosioni sinaptiche che neanche la scienza aveva mai considerato…
D’un tratto la osservai come va osservato un essere umano e la vidi lì immobile, seduta, con lo sguardo nel vuoto e silenziosa com’era sempre stata da quando l’avevo conosciuta, la consapevolezza aveva abbattuto l’animale, l’unico al mondo del quale desideravo l’estinzione al pari delle zanzare.
“Ti va di parlare?” le dissi mettendole le mani sulle spalle come si fa con un’amica vera, di quelle a cui non vieni in bocca e che non pieghi sul lavandino sbraitandole addosso come un mammut.
“A me va di parlarti, mi va di dirti che sei l’unico motivo che mi ha spinto a rimanere su questa terra, potevo benissimo farla finita e non me ne sarebbe importato nulla, ma tu ha aggiunto benzina al serbatoio in questo lungo viaggio verso l’ignoto e ad Est, od Ovest, il sole sta sorgendo…”
Non rispose e io persi d’un colpo tutta la mia poetica del viaggiatore, ero pieno così di metafore sui tragitti, ci avrei infilato dentro le moto, i coyote, una sfilza di puttane in pantaloncini a jeans e sarebbe stato fantastico se solo mi avesse assecondato.
Composi il numero di una mia vecchia compagna di scuola ripescata nel cimitero virtuale, una di quelle col biglietto da visita al posto della foto profilo a cui poco importa di condividere momenti magici con perfetti sconosciuti.
“Annalisa?”
“Chi sei?”
“Non ci vediamo dal secondo superiore, sono Alessandro”
Ripetè il mio nome prolungando la O finale e poi mi chiese come stessi.
Avevo appena chiamato una psichiatra dopo vent’anni che non la vedevo, come avrei dovuto stare?
“Bene grazie, sono contento che sia tu, non hai alcuna foto ma abbiamo molti amici in comune di quell’epoca e poi hai mantenuto il tuo nome da nubile, quindi è stato facile ritrovarti”
“Come hai avuto il mio numero?”
“Ho messo il tre iniziale e gli altri nove numeri me li hanno suggeriti i miei parenti morti”
“Il biglietto da visita, già”
Parlammo per un po’ del nostro passato, dei compagni, della scuola, della scuola, dei compagni, anche perché oltre il recinto del Liceo non ci eravamo mai incontrati e probabilmente ci saremmo anche malsopportati.
Io le dissi un sacco di stronzate circa me che avevo fatto carriera nell’esercito e le raccontai delle mie esperienze di guerra nelle Filippine.
“Non sapevo che ci fosse una guerra da quelle parti” disse, “per cosa combattevano?”.
“Non parlavo la loro lingua, ho provato a chiederglielo, credo per una sorta di diatriba tra divinità ma alla fine abbiamo sconfitto quella più irritabile e ne abbiamo messa al potere un’altra più moderata e stanno tutti meglio.”
Poi parlò lei e io mi accesi una sigaretta fantasticando su come fosse adesso, cercando di rimettere assieme i cocci del passato giusto per capire se me la fossi mai scopata. Pensai di chiederglielo ma non trovavo spazio tra una frase e un’altra, glielo avrei chiesto con una battuta, quindi cominciai a scandagliare ogni sua parola per trovarne una adatta a un doppio senso, che mi facesse apparire simpatico e al tempo stesso mi regalasse un file di verità da inserire nella mia memoria.
“No, non abbiamo mai scopato, ma cosa c’entra questo con la morte di mio padre?”
“Ti scambio di certo con la tua compagna di banco”
“Ti sei scopato mia sorella?”
A una certa devi cambiare discorso, se ti arrampichi troppo e poi scivoli le possibilità di salvezza diventano minime.
“Ti ho chiamato per un altro motivo, non per parlare di sesso”
Le raccontai di Desirée, bevvi un altro sorso e me la presi comoda, erano giusto le sei del mattino e se mi aveva risposto probabilmente era aperta al dialogo. Non omisi alcun particolare, dai giochi erotici ai suoi silenzi prolungati e poi c’era il fatto che non mangiasse, non bevesse. Credo di aver sentito degl’insulti prima del suo “perché diavolo non hai chiamato qualcuno prima? Sta lasciandosi morire”.
“Lo trovo un po’ esagerato, credo sia un modo per attirare la mia attenzione”.
“O forse il tuo ego smisurato la sta soggiogando”.
“Hey” la fermai, “non provare a venire qui per mettermela contro, abbiamo ancora ottimi rapporti sessuali e non è mai svenuta, anche se non mangia, probabilmente ordina pizze a portar via quando non ci sono e fa scomparire i cartoni, non possiamo saperlo, probabilmente mangia più di me e te e ho un conto aperto da Nino’s Pizza del quale non conosco l’esistenza”.
La seconda metà del discorso la feci da solo e il fatto che le diedi il numero e la via incastrandola tra una frase e un’altra mi fece sospettare che stesse venendo per salvarla.
Andai da Desirée, la baciai in fronte e la guardai negli occhi.
“Amore, sai che ti amo non è così? Insomma, chi ti ha comprato quei vestiti? Chi ti abbraccia ogni notte quando andiamo a dormire? Ti ho detto prima che sei la mia benzina, neanche i benzinai hanno metafore tanto argute sulla benzina. Il mio amore per il whisky non ci ha mai ostacolato, l’alcol è solo una bevanda, ti disseta e al tempo stesso ti diverte, non vogliamo certo dirglielo, ad Annalisa, colpevolizzare l’alcol sarebbe come colpevolizzare una sfilza di bravi lavoratori, gente onesta, giovani universitari che si danno da fare per pagarsi gli studi e poi adesso Andy Garcia pubblicizza l’amaro in Tv, è sempre stato un uomo prodigo, ha fatto Il Padrino anche se non se lo ricorda nessuno, era uno dei protagonisti, pensa”.
Suonarono alla porta, mi feci bello con i pochi mezzi che avevo a disposizione, sistemai i capelli di Desirée e mi presentai ad Annal…
“Cristo di un Dio, baby, quanto ti sei fatta grande”.
Annusai la sua pelle da una distanza immane e il mio olfatto mi premiò con una scarica di endofine, gli occhi si gonfiarono di gioia alla vista dei suoi seni e il Caravaggio sulla parete applaudì alla vista di quei tratti orientali.
“Ora capisco tutto”
“Cosa hai capito?”
“Stai applaudendo guardando le mie tette e sei visibilmente ubriaco, non ci vuole una laurea per fare una diagnosi”.
Rimasi alla porta mentre lei si precipitò da Desirée per raccontarle di quanto fossi un poco di buono, riempirla di farmaci e andare alla Seychelles con le vacanze premio della Pfizer.
La sentii ridere a bocca aperta, Annalisa.
“Sei tutto matto” mi disse, “se volevi attirare la mia attenzione con un colpo di genio, ci sei riuscito benissimo”.
“Di cosa parli?”
“Raccontami di come hai conosciuto la tua… amante”
Virgolettò la parola amante strizzando gli occhi con un tale impeto che per poco non le caddero le ciglia finte.
Si era presentato un uomo col cappellino giallo alla mia porta chiedendomi se fossi Dario Baldanzi perché c’era una donna per me. Anche lui virgolettò, poi sghignazzò. Non avevo bisogno di un nome nuovo ma di una donna sì, quindi feci la faccia da Dario Baldanzi e tirai fuori Desirée dalla sua trappola di cartone. Se un uomo era capace di trattare una donna in quel modo, non la meritava, me ne sarei preso cura io.
“E’ un po’ siliconata, ma è molto attraente, direi una… bambola”
Le aggiustai le ciglia e le chiesi di non virgolettare più nulla, poi m’implorò di prepararle un caffè e passammo l’intera colazione assieme.
Non me la diede, non ci fu altro che un abbraccio tenero alla fine e io le domandai come stesse sua sorella.
Poi andò via ma mi disse di telefonarle se avessi avuto bisogno di una … vera donna.
“Desirée” dissi alla mia piccola che se n’era stata silenziosa e brava. Ero certo che non mi avrebbe additato come il mostro che ero: “Ma da oggi in poi ti giuro che cambierò, è una promessa. Sono come il petrolio grezzo, ho bisogno di essere trattato e lavorato ma diventerò anch’io benzina, per te, per farti correre libera per le autostrade dell’esistenza verso i migliori tramonti che tu abbia mai visto”.
Ah, di che cosa ero capace, di quali fantastiche metafore quando avevo lei accanto.

AC – Love dolls

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