La ragazza perfetta

On 10/06/2020 by alecascio

Conobbi la ragazza perfetta tempo fa in un locale romano. Ci eravamo sentiti un paio di volte e ci eravamo promessi un pranzo. Non per la sua perfezione, desideravo conoscerla, ma per un articolo che scrisse in un giornale on line dal titolo “La distorsione letteraria” e che affrontava il disagio di chi, immergendosi nell’arte, era portato a pensare che la propria vita dovesse essere come quella di un romanzo altrimenti non sarebbe valsa la pena vivere. A dire il vero quel pensiero fu l’unica cosa che mi colpì di lei. Né le sue foto in piscina, in giro per il mondo, a ridere e bere con gli amici di sempre, negli spogliatoi della palestra o ad eleganti serate in ristoranti stellati riuscirono a creare un valido argomento per passare tre ore in una chat a dialogare, ma un’idea, una semplice idea profonda e coinvolgente, specie per me che ero solito creare da anni la finzione di cui lei parlava. Mi si presentò di fronte una ragazza copertina, ben truccata, ben vestita e attenta a dosare le parole e i gesti per non apparire troppo convenzionale. Io ero quel che ero, esordii con un abbraccio anche se non è modo e un “odio i ristoranti ed essere servito come fossi un lord inglese solo perché ho cinquanta euro in tasca da spendere in cibo”. Ho una specie di devianza allo stato elementare che mi porta a dire ciò che penso quando lo penso, sempre che il pensiero riemerga dalla confusione che da sempre alberga nella mia testa. “Non è una gran cosa per chi t’invita a mangiare fuori” mi fece notare. “Non preoccuparti” le risposi, “tutta la vita è un palcoscenico e i ristoranti non sono da meno”. Avrei volentieri continuato l’argomento, spostandomi sui camerieri, attori improvvisati che interpreano la servitù per denaro e la nostra postura sobria di fronte a un piatto che generalmente mangeremmo con le mani. “E’ anatra all’arancia, non pollo” mi ammonì. “S’il vous plaît, monsieur” dissi al camerere, “je vous prie de transmettre mes condoléances aux proches des plumes”. Mangiai poco, a dire il vero, perché non mangio mai prima di ubriacarmi. Lei non lo sapeva, ma l’avrei portata in un posto a Campo dei fiori di proprietà di un appassionato di giochi anni ’80 e ci saremmo ubriacati fino a liberarci del peso della coscienza giocando a Pong s’una grossa Tv a tubo catodico. Lei non era affatto invaghita di me o almeno credo, non voglio raccontarvi di un latin lover e la sua dama in una notte di Giugno, ma di una ragazza che ogni giorno sui social cercava di montare ad arte un’esistenza fittizia che con tutte le sue forze provava a mantenere stabile, almeno con gli estranei. Ma gli estranei non sempre riescono a convincerti a bere più di quanto sei abituata e quel giorno fu come iniettarle in vena del tiopentale sodico. Era in carne, pochi anni prima, molto in carne e si era sentita orrenda per buona parte della sua esistenza. “Ma adesso sei splendida, sei in forma e desiderata” le feci notare. “Sì” rispose, “ma vivo con la costante paura di ritornare com’ero. Non sai quanti sacrifici debba fare per rimanere come sono. E se mollassi, se per un motivo o per un altro la mia mente s’indebolisse e non riuscissi più a sopportare certe privazioni?” “A quel punto dovresti chiudere l’account instagram e concentrarti sulla vita reale”. “Quale?” Fu una domanda più intelligente di quel che apparrebbe a un ascoltatore disattento. Quale. In un solo pronome tutta la verità di un tempo, la sua ma anche la nostra. Cosa sarei se non apparissi? Chi m’inviterebbe a cena sapendo di poter scegliere da un infinito catalogo pieno di esseri umani sempre sul pezzo? Creare, ogni giorno creare, ricevere attenzioni e approvazioni, vivere la realtà coscienti di poterne fare un contenuto valido per la finzione che abbiamo messo su e che non sappiamo come smontare. Instaurare rapporti che si basino sul quel che siamo davvero dopo esserci mostrati come non siamo, non saremo mai e forse ci peserebbe essere. Perfetti anche nell’imperfezione, magari condendola con una vena di poesia e ironia. In tutto quel marasma di alcol e parole, vomitò l’anima e l’anatra all’arancia sul marciapiede e mi sentii in colpa per aver indotto una perfetta estranea ad essere se stessa con me che come tutti ho finto e fingerò per sempre. Sperai almeno che si fosse liberata di un peso più grosso di un pennuto e una salsa di burro e agrumi. Le volli bene per un po’ di tempo, poi trovò l’uomo della sua vita e non ci sentimmo più, ma non la odiai per questo e neanche per aver tramutato, nei suoi profili, la vita da single ideale in una ideale vita di coppia. 529382-4386816-selfie-psicologia-725x545

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