Da morire.

On 18/07/2020 by alecascio

Fabiana scomparve dalla mia vita una sera di Dicembre e di lei non ebbi più alcuna notizia fin quando non seppi che si era legata a un imprenditore leccese e ci aveva fatto un bambino. La incontrai a Taormina alla stazione dei treni e subito prendemmo un hotel insieme e vivemmo dieci giorni di mare, sole e sesso.
Aveva un corpo disegnato, il viso bello della gioventù, una carnagione chiara e degli occhi che al sole cambiavano colore.
Fu la mia ragazza per due anni e poco più, eravamo legati da un forte vincolo carnale, dovevamo toccarci, stare vicini, dormire avvinghiati l’uno all’altra, masturbarci a vicenda, baciarci e passavamo intere settimane in casa mia senza mai uscire se non per necessità. Intorno a noi aleggiava lo spettro di un uomo, calvo, panciuto, con la barba, che lei sosteneva essere un amico con cui aveva avuto una storia tempo prima, quello del padre e di un’anonima donna che diceva di vivere in barca e di sapere tutto di noi. Ed era vero, ad ogni sua e-mail raccontava nei particolari le nostre vite, sapeva dove avevamo mangiato, chi avevamo incontrato, dove eravamo stati in vacanza e si descriveva come una nostra amica che teneva a noi e al nostro rapporto. Nè io nè Fabiana sapevamo chi fosse e come riuscisse ad avere quelle informazioni, ma stetti al gioco fin quando anche lei non si dileguò con la nostra storia. Al tempo avevo un blog con quasi un milione di visualizzazioni che per il periodo rappresentavano una grossa quantità di lettori e ad ogni nostra foto ricevevo un’ondata d’insulti. Il nostro rapporto andò comunque avanti perchè lei dimostrava continuamente il suo amore per me viaggiando ogni mese per starmi vicino, ma i suoi mostri rendevano quel suo amore malato, combattuto.
La notte si svegliava di sovrassalto e mi chiamava: “Ale, sei ancora qui?”
“Sì, non vado da nessuna parte” le rispondevo, “torna a dormire”.
“Ho sognato ch’eri andato via”.
Io non sapevo nulla di lei, della sua vita lontana da me, dei suoi amici, dei suoi affetti e la scrittrice anonima mi dava spesso delle indicazioni che Fabiana smentiva sempre.
Sapevo che il padre e la madre avevano divorziato quando lei era ancora piccola e che il padre era freddo e distaccato, ma un gran lavoratore. Mi contestava il fatto di fare lo scrittore perchè il genitore le aveva inculcato l’idea dell’uomo che si alza presto al mattino per andare a lavorare, nonostante avessi al tempo più soldi di quanti ne abbia mai avuto in vita mia grazie alla collaborazione con un noto regista e possedessi una villa in aperta campagna. Io e il regista scrivevamo un film sulle carceri per l’Est Europa chiusi in un agriturismo in montagna, lui era venuto in Sicilia per trovare ispirazione e passavamo ore a mettere giù idee bevendo vino buono.
Quando tornavo a casa lei mi abbracciava e non mi lasciava per interminabili minuti, un giorno dovetti trascinarmela per il corridoio pur di riuscire a spogliarmi e a sistemare le mie cose. La posai sul letto come si posa un oggetto a cui tieni e feci sesso con lei fino a sera, quando si addormentò con la mia mano sul suo petto.
Erano passati due anni e due mesi dal nostro primo incontro e gli anonimi si erano fatti di nuovo vivi per contestare delle foto tanto dolci quanto erotiche di me e lei sul mio letto. L’ex barbuto mi scrisse che da anni versava sul conto di Fabiana 500 euro al mese per aiutarla a sostenersi, un altro che stavo rovinando la reputazione di una giovane perbene molto apprezzata nella sua città. Così dovetti censurarle il viso.
Il giorno prima che partisse festeggiammo con la mia famiglia la laurea di mio fratello. La trovai sorridente, particolarmente felice.
La notte fu più dolce del solito e le chiesi cosa avesse che non andava.
“Niente” rispose, “ti amo da morire”.
Poi si coricò interamente su di me e io la lasciai fare, si addormentò così, stringendomi a sè come se stessi per morire o lei stesse per morire.
L’indomani dal treno mi urlò che mi amava e che al suo ritorno, pochi giorni dopo, mi avrebbe portato un regalo.
“Ricordamelo” disse, “altrimenti lo dimentico”.
Partì il Martedi, il Giovedi mi arrivò un messaggio sul cellulare.
“Scusami, ma non possiamo vederci mai più”.
Pensai a uno scherzo, che le avessero preso il telefono a sua insaputa e provai a chiamarla. Non mi rispose.
“No, sono io, non è uno scherzo” furono le sue ultime parole.
E non la risentii più.
Una settimana dopo partii per Coimbra dove vissi qualche mese con la mia migliore amica e un gruppo di americani svitati.
Col passare degli anni quasi scordai quella storia priva di logica, fin quando spuntò il suo nome tra i suggerimenti di Facebook.
Le scrissi e le chiesi come stava.
Mi raccontò di lei, conviveva con un facoltoso imprenditore che non l’amava, era da poco rimasta incinta e non sapeva come gestire la cosa. Non stava bene, era mentalmente fragile, ma le dissi che col tempo si sarebbe aggiustato tutto.
Io stavo con la bassista di una band metal di origini casertane che la riempì d’insulti, ma non le arrivarono perchè staccai la presa del modem prima che l’inviasse.
Non sono mai riuscito ad odiarla, Fabiana, e il mio ultimo augurio per lei fu sincero. Oggi non so che fine abbia fatto, ma spero che abbia almeno trovato la pace che cercava e che con me non era riuscita a raggiungere.
Di lei mi resta una foto e una maglietta degli HIM.

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