Paradiso violato

On 03/08/2020 by alecascio

C’è la temperatura alla quale di solito si scalda il pane di ieri per non doverlo ricomprare, ma io ho il mio asso nella manica, un’insenatura scoperta durante una delle mie passeggiate in auto alla ricerca di paradisi naturali.
La mia idea di Paradiso è un grosso cancello verde con un San Pietro più basso di me di circa quindici centimetri che lo spalanca con fatica e mi dice: “Ecco, Ale, qui non ti romperà il cazzo nessuno per l’eternità”.
“Gli angeli?”
“Nessuno ho detto”.
Ecco, nel paradiso naturale che ho trovato sul litorale qui vicino ci sono sempre e solo io e questo mi fa sentire un Re, come uno di quei costruttori abusivi della costa palermitana che tanto invidiamo, con le loro spiagge private e il condono edilizio incorniciato sulla parete del salotto.
Perchè la gente è disturbante. Adesso, per esempio, vorrei concentrarmi su queste poche e mediocri parole, ma il gruppo di persone che discute seduta al tavolo nella terrazza di fronte sta chiedendosi se alla fine Rosa e Francesco si sono sposati, perché lei era incinta e il padre è un uomo all’antica. Vorrei rimanere nel mio percorso, seguire la mia vita e i miei pensieri, ma la gente mi ha fatto virare su argomenti che non avrei mai affrontato, ovvero che fine abbiano fatto Rosa e Francesco, chiunque essi siano. Ecco, il contatto con la gente ti costringe a pensare, immaginare, agire diversamente da come agiresti se fossi solo, tu con la gente non sei tu, ma sei in parte la gente. Se avessi voluto essere la gente sarei nato uno di loro, non me stesso.
A pochi passi sento dei suoni, una specie di cantilena rindondante tipica di una donna che discute al telefono.
Mi ergo s’uno scoglio asciutto come uno stambecco sulle dolomiti e scorgo la figura di quello che d’ora in avanti, per tre ore circa, sarà il mio più acerrimo nemico.
“E’ il mio posto, ci vengo sempre e solo io, non hai scoperto un cazzo e non hai il diritto di stare qui, vattene e non tornare mai più”.
E’ quello che vorrei dirle, ma la razionalità mi consiglia di sedermi a qualche metro da lei, fare come se non esistesse e farla sentire a disagio.
“Sta parlando al telefono con un’amica di fronte a un mare piatto e trasparente, il disagio è per le persone che hanno un’anima e nessuno con un’anima porterebbe un cellulare acceso s’una spiaggia siciliana”.
“Forse le serve per lavoro”.
“Ma l’hai sentita? Che razza di lavoro pensi che faccia, l’articolista di Oggi?”
Non so la vostra, ma la mia razionalità è stupida come una mosca imbottigliata in un palazzo di cristallo, ha passato la sua esistenza a cercare di farmi divertire la metà di quanto avrei potuto, ma mi ha salvato quella volta che pensai di saltare giù da una scogliera senza prima verificare la profodità dell’acqua. Devo darle atto che ebbe ragione lei, mi arrivava a malapena al girovita, che si trova pressappoco sopra le ginocchia di Jason Momoa.
La donna mi guarda e mette in pausa la sua lingua, ripete un “eeeeeh” lungo-lungo e poi riprende da dove aveva lasciato. Poso il mio telo da mare, mi tolgo la maglia e mi immergo pensando al fatto che le opere di Picasso sono orribili, ma nessuno ha mai l’onestà intellettuale di ammetterlo.
Questa cosa che il cubismo rappresenti una figura che si muove nello spazio è una stronzata che la mamma torna Giovedì e speriamo che in nave non ci sia troppa gente. Stanno tutti spostandosi troppo in questo periodo, dovrebbero stare più a casa, invece no, fanno quel che pare a loro.
“Ma Cristo Santo, perché tua madre allora non si stava dov’era, se ti dà tanto fastidio che la gente si sposti? Cos’è tua madre, la Regina d’Inghilterra?”
Lo ripeto in silenzio, come razionalità mi suggerisce, anche se l’intrusa ha praticamente calpestato il mio profondo pensiero su Picasso e certi capolavori non si possono più riprendere, sono schizzi improvvisi nella tua mente e non puoi tornarci sopra perché rovineresti l’arte del momento, quella che probabilmente i cubisti trovarono quando decisero d’inventarsi tutti la stessa cazzata da ripetere ai critici d’arte per giustificare quei fastidiosi obbrobri.
Vivevo a Malaga anni fa e a quel tempo al museo di Picasso c’erano in mostra le sue ceramiche accanto a quelle di un altro artista locale.
“Quale sono quelle di Picasso?” mi chiese la guida spagnola, che non era la mia guida ma lei pensava che fossi del suo gruppo.
“E’ evidente, queste”.
Le altre sembravano più progetti di una scuola per disabili messe lì per raccogliere fondi contro la quadroplegia degenerativa del lobo occipitale o quel che era.
Forse fu in quel momento che iniziai ad odiare Picasso, quando scoprii che Giada e il tipo si erano lasciati perché una relazione a distanza non può funzionare, a meno che uno dei due non si trasferisca, ma sono ancora troppo giovani per vivere insieme e poi che cazzo ci vai a fare a Campobasso, io non so manco dove si trova.
“Cristo di un Dio!”
Stavolta lo dico ad alta voce, esco dall’acqua e mi piazzo a dieci centimetri da lei. Mi metto a pancia all’aria. Sono certo di non avere affatto l’aspetto di un uomo raffinato e spero vivamente che lei colga il cinghiale che è in me e mi disprezzi abbastanza da cambiare zona e trovare uno spazio tutto suo, perché quello è il mio piccolo mondo rinfrescante in quest’Estate stupida, sudata e improduttiva.
Nella mia mente sono il classico tipo che non vorresti avere accanto in una spiaggetta, uno di quelli che di punto in bianco si addormenta e russa o dice cose strane, rivela nel sonno dove hanno nascosto il cadavere del vicino o scoreggia.
Nella sua sono invece uno che non è di lì, che in siciliano vuol dire: “Non sembri uno che vende pane e panelle sulla statale per San Vito”.
Invece io sono la sicilianità fatta persona, quella più rozza e terrena, anche se non mangio fritti e la granita la trovo adatta solo ai gargarismi.
“Bello il tatuaggio” insiste: “Chi sono?”
Inizio una splendida conversazione su Lennon, sul legame che ci unisce, sul fatto che il suo scrittore preferito fosse Lawrence Ferlinghetti che scrisse proprio un’intervento su un libro di racconti che pubblicai insieme ad altri autori e insomma, com’è piccolo il mondo, i tre gradi di separazione esistono anche tra gente come me e gente come lui, come se Jeff Bezos e un barbone si scoprissero cugini.
Si alza, prende le sue cose e mi saluta, è stata carina, bel sorriso, bell’accento, spero proprio di non vederla mai più.
“Avete fatto voi quest’orrore, maestro?” chiese un ufficiale tedesco a Picasso.
“No,è opera vostra” rispose lui.
“No, no” inistette l’ufficiale, “è proprio vostro, vede, c’è la sua firma qui sotto”.
“Intendevo dire che…”
“Che cosa? Che dipingiamo come un bambino di sei anni? Possiamo anche commettere atti atroci, ma sappiamo dove si trovano gli occhi di un toro e che la mano di un uomo ha il pollice opponibile. Lo avete fatto voi sto sgorbio o no?”
“L’ho fatto io, sì”.
“Che schifo, torno a guardare Caravaggio se non le dispiace”.
Ecco, è così che dev’essere andata davvero e ci fosse stata gente attorno a me non avrei mai scoperto la verità.

AC – Paradiso violato

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