Anima sgonfia

On 08/08/2020 by alecascio

Erano circa le 7:30 del mattino quando scoprii che mi si era sgonfiata l’anima. Avvertivo i sintomi da giorni ma non ci avevo dato molto peso e avevo continuato a vivere la mia vita ignaro delle conseguenze, convinto che certe cose succedano solo agli altri e mai a te. E invece…
Mi accorsi di averla persa irrimediabilmente quando un tizio mi tagliò la strada e quasi non mi tamponò. Sbadigliai e alle sue urla risposi con un “Cosa?”
“Non lo hai visto lo stop?” mi sbraitò contro.
“Sì”
“E perché non ti sei fermato?”
“Pensavo che non ci fosse nessuno”.
“E io che sono?”
“Nessuno”
Rimase un po’ a guardarmi, poi mi mandò a fanculo e io gli dissi: “Ok”.
Padre Cosimo mi spiegò l’anatomia dell’anima quand’ero bambino, mi disse che è come un palloncino e devi sempre gonfiarla perché rimanga in vita. Gli chiesi come fare e lui rispose: “Opere di bene, amare, essere grato alla vita e a Dio, sollevare il prossimo dalle sue sofferenze, fossero esse materiali o spirituali e altre cose del genere”.
Padre Cosimo parlava tutto d’un fiato, riempiva i polmoni e diceva solo ciò che quell’unica boccata gli consentiva e con l’ultima goccia d’ossigeno chiudeva con un “etcetera” o un “cose così” e doveva passare del tempo prima che ricominciasse a parlare, se lo faceva, non riprendeva mai lo stesso argomento perché apparteneva al fiato precedente ed era ormai storia chiusa.
Così m’incamminai verso il monastero in cui di solito visitava la gente con l’anima sgonfia, per le scale incontrai una signora tutta imbacuccata di stracci che mi chiese un euro perché doveva dare da mangiare ai propri figli.
“Cosa gli dai da mangiare, le goleador? Non ci compri niente con un euro”
“Dai due euro, cinque euro, va bene?”.
Non mi ero mai sentito così ricco in vita mia, mi venerava come uno sceicco, così tirai fuori cinquanta euro e le chiesi se aveva il resto di quarantacinque. Glieli sventolai di fronte come fosse un Cullinan da 500 carati e li guardò muoversi da destra a sinistra, da sinistra a destra, mentre con la lingua facevo il suono di una pallina da tennis durante uno scambio al Roland Garros.
“Dì un po’, vuoi smetterla?” sentii una voce tanto fioca quanto arrabbiata rimbombare sul ciglio del portone: “Dalle un euro ed entra che non ho tutto il giorno”.
“Cos’altro avrebbe da fare? Fa il monaco mica l’architetto”.
“Restaurare l’anima della gente normale costa già abbastanza fatica, pensa quanta ne costi ricostruirla dalle fondamenta”.
Mi guardò, scrollò la testa e capii che si riferiva a me, io ero quello delle fondamenta.
“Ti do un euro”.
“Che fa mio figlio con un euro? Mica mangia goleador” mi disse la madonna rom e dopo averle allungato la moneta urlai al prete di appuntarsi la mia opera di bene del giorno: “Ho aperto gli occhi a una poveraccia, da oggi in poi punterà più in alto e tutto grazie a me”.
“Bravo” rispose lui, “il diavolo metterà un tronco in meno sotto il tuo calderone”.
La chiesa era la stessa in cui andava sempre mia nonna, l’ultima messa l’ascoltò da dentro una bara, proprio dove mi ero fermato a contemplare quel cristo in croce scolpito nel legno che avrei tanto voluto portarmi a casa e mettere tra le mie action figures.
Odiavo confessarmi, mi vergognavo parecchio, ma mi piaceva mettermi in fila e prendere l’ostia dalle mani di Padre Cosimo. Un giorno nonna mi disse: “Non importa se non ti confessi, dì una preghiera e tanto basta”.
Grazie a lei non dovetti mai più confessarmi in vita mia dall’età di sette anni.
“Sarebbe l’ora di cambiarla, quella croce, metterne una più moderna”.
“Anche se la cambiassimo, non sarebbe comunque in vendita”.
“E’ legno di quercia, vero?”
“Non sarà mai tua, scordatela e dimmi cosa sei venuto a fare qui”.
Diedi per scontato che avrei dovuto seguirlo fino al suo ufficio, lo feci e visto che c’era una sedia, diedi per scontato che mi avrebbe chiesto di sedermi. C’erano delle caramelle alla frutta in bella mostra, diedi per…
“Vuoi un caffè? Una ciambella?” domandò prima che dessi per scontato qualcos’altro.
“No, no, la caramella va benissimo”.
“Cosa c’è?”
“Mi si è sgonfiata l’anima, del tutto, credo questa mattina.”
“L’anima si sgonfia poco a poco, come mai te ne sei accorto solo stamattina?”
La consapevolezza è come un ruzzolone, senti la scarpa scivolare, senti il corpo perdere l’equilibrio, senti il pavimento fuggirti da sotto ai piedi ma è solo quando batti il culo per terra che comprendi di essere caduto davvero.
Mi mise una mano sulla fronte, mi disse di aprire la bocca, di tirare fuori la lingua e di seguire il suo dito, me lo sventolò di fronte come un pendolo e mi chiese da quanto tempo non amassi veramente qualcuno:
“Ventidue anni a Giugno, già compiuti”
“Figlio mio” rispose, “tu non sei solo scivolato, sei caduto dalla cima dell’Himalaya”.
Presi un’altra caramella, la misi in bocca e accartocciai l’involucro, non c’era un posacenere, così la nascosi tra le altre caramelle sperando che non se ne accorgesse.
“Da quanto tempo non fai del bene a qualcuno o cose così?” domandò frugando nel portacaramelle in cerca della mia immondizia. La trovò e la gettò nel secchio delle cartacce che aveva sotto la scrivania.
“C’era una…”
“Eccetto la rom che hai incontrato sulle scale”.
Tolta l’opzione poveraccia vestita di stracci, chiesi del tempo per ricordare.
C’era questa ragazza ubriaca all’uscita di una discoteca fuori Roma. Occhi verdissimi, capelli scuri, una quarta di seno nonostante la vita sottilissima. Mi fermò e mi disse: “Scusami, puoi aiutarmi?”
Le risposi di sì, che male poteva farmi una con quelle tette.
“Non ricordo dove ho posteggiato l’auto, potremmo fare dei giri per vedere se riusciamo a trovarla?”
Avevo in auto mezza bottiglia di Southern Comfort che tenevo sempre con me sotto il sedile per rendere più appaganti i lunghi tragitti in solitudine. Gliene offrii un sorso e ci raccontammo un sacco di cose sul rock anni ’60 e su quanto sarebbe stato bello vivere ai tempi di Woodstock, anche se probabilmente non ci saremmo andati comunque perchè non c’erano i voli low cost e in Italia si seppe di Woodstock solo un paio di settimane dopo l’avvenimento. Poi finimmo per baciarci e visto che erano ormai le sei del mattino e io avevo casa vicino, decisi di farla dormire da me. L’indomani mattina me la trovai addosso e feci l’amore con lei, prima però mi alzai e misi su il CD di Electric Ladyland. Fu come essere catapultati nel ’68, lei aveva una ciocca viola e una verde e sul labbro un…
“Insomma?” mi fermò Padre Cosimo.
“Cosa?”
“Guidi ubriaco, offri dell’alcol a una ragazza ubriaca come se non lo fosse abbastanza, le guardi le tette e te la porti a casa, fai sesso con lei anche se vi conoscete a malapena etcetera etcetera. Non ti ho chiesto quando è stata l’ultima volta che hai peccato segnando una tripletta, ti ho chiesto quand’è che hai fatto del bene”.
Presi un’altra caramella. La scartai. La misi in bocca. Diedi lo scarto al prete e dissi:
“Una Kia bianca”
“Una cosa, bianca?”
“La sua macchina, era una Kia bianca, la trovammo l’indomani a mezzogiorno posteggiata ad almeno cinquecento metri dalla discoteca. Se mi facesse parlare forse sarei arrivato al punto. L’ho aiutata a trovare l’auto, era una Kia bianca.”
Bussarono alla porta un chierichetto e un tizio con la barba lunghissima e la chitarra in mano, salutarono cordialmente e chiesero se potevano fare le prove di canto nella stanza di sopra.
“Sì” risposi, “ma usate il preservativo”.
Sentii uno schiaffo sulla sesta vertebra cervicale, a mano aperta, ma la mano rimase attaccata al mio collo. Quando il prete la staccò si strinse un braccio e mise la fronte sulla scrivania.
“Non si sente bene?”
Non rispose, cominciò a fare dei versi simili ai rutti. Il chierichetto mi pregò di chiamare un’ambulanza. Feci il 114, il 113 e il numero dell’assistenza wind, ma in tre tentativi non ne azzeccai neanche uno.
“Sono tutti uguali”.
“Lo fai questo numero?” urlò il chitarrista barbuto, “o vuoi che ci muoia qui?”
“Scusami BB King, ma non chiamo ambulanze ogni giorno, sono nel pieno dei miei anni e in salute come puoi vedere”.
Poi mi decisi a fare qualcosa e presi in braccio il prete per portarlo in ospedale con la mia auto.
“Successo qualcosa?” mi chiese la madonna rom sulle scale.
“No, vengo qui a cullarlo ogni sera prima di metterlo a letto, lo aiuta a digerire” e le ordinai di aprirmi lo sportello dell’auto.
Mi diressi al pronto soccorso suonando il clacson a tutto spiano anche se le strade erano vuote. In fondo quando avrei avuto un’altra possibilità se non alla prossima vittoria dei mondiali?
Arrivati a destinazione, due infermieri misero il vecchio su una sedia a rotelle e lo portarono dentro. La hall era piena di gente malridotta con le ossa rotte, in stato febbrile o piegata in due in prenda a gravi malattie psicosomatiche.
Lo portarono dentro e io mi sedetti tra i lebbrosi.
Uno di loro mi chiese cosa fosse successo.
Era fasciato come una mummia eppure chiedeva a me cosa fosse successo.
La sua anima doveva essere gonfia così nonostante lo avesse appena investito un mandria di Gnu imbizzarriti.
“Sei stato fortunato” gli dissi, “Mufasa c’è morto male e lui era il re della giungla”
Mi chiamò il dottore, mi chiese se fossi un parente.
“No, è un prete, non credo abbia parenti”.
Chiesi di vederlo, me lo indicò, era sul lettino posteggiato in corsia.
“Padre Cosimo, come sta?”
“Cos’ha detto il dottore?” mi domandò con un filo di voce.
“Che ha bisogno di cure costose, costosissime, ha bisogno di un bel po’ di soldi, ma troveremo un modo per raccoglierli, ho visto che ha tanta roba di valore che su ebay va via come il pane al ristorante quando tarda il cameriere”
“Gesù Cristo”
“Non bestemmi, non in punto di morte almeno, non vanifichi quel…”
“No” aumentò il volume, “Gesù Cristo non sarà mai tuo, scordatelo, non è in vendita”.
Era una splendida opera d’arte, si vedevano le venature del legno e i particolari facevano la differenza, una di quelle cose che puoi mostrare agli amici quando fai fare il tour della casa: “Qui c’è la statua in scala uno a otto di Tony Stark, accanto Spongebob credo a grandezza naturale visto che è solo una spugna e qui, invece, Gesù Cristo in croce”.
Ma rimarrà solo un sogno.
Il chierichetto mi bussò sulla spalla e mi disse di tornare a casa che ci avrebbe pensato lui.
“Padre Cosimo” dissi al prete.
“Cosa c’è”
“Lei mi vuole bene, non è così?”
“Ti conosco da quando avevi sei anni, figlio mio”
“Le prometto che farò qualcosa per la mia anima, dopo quello che ha cercato di fare, glielo devo”.
Gli diedi un bacio sulla fronte e me ne andai sicuro che l’indomani l’avrei trovato di nuovo nel suo ufficio a cercare di guarire qualcun altro. S’era tenuto il braccio sbagliato per tutto il tragitto per l’ospedale, ma io stetti al gioco perché uno dei modi per rinvigorire l’anima è lasciare che gli altri ti vogliano bene, che facciano qualcosa per la loro, di anima.
Una mercedes per poco non mi prese in pieno a un incrocio.
“Non lo hai visto lo stop?” mi urlò.
“Sì, è che non parlo inglese”
“Vuol dire che ti devi fermare”
“V’invidio a voi poliglotti, c’avete sempre la vita facile”
Mi mandò a fanculo e io gli risposi con un “ok”, poi continuai per la mia strada.

 

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