Una delle tante biografie non autorizzate di me stesso

On 28/08/2020 by alecascio

Non ti rendi conto di quanto siano belle le donne italiane fin quando non vai a vivere all’estero. E’ come avere il meglio del pianeta terra condensato in un piccolo spazio. Bionde, more, nere, color latte, se non trovi una donna in Italia non la troverai in nessun luogo al mondo.
Ma partiamo dal principio.
Ero a Roma e stavo provando un pezzo di Pj Harvey con una giornalista locale che faceva anche la cantante.
“Fai pezzi tuoi” le dicevo, “Pj Harvey esiste già”
“Che cosa dovrei scrivere?”
“Io metto in fila due accordi, tu attacchi con i tuoi lamenti e diciamo a tutti che è alternative rock”.
In seguito lo fece e scoprii di averle dato un pessimo consiglio.
Chiamò un un amico e con ancora la chittarra collegata al Peavey risposi. Mi disse se avevo un qualche certificato che attestasse che facessi davvero quel che dicevo di fare.
“C’ho questo in sceneggiatura” risposi, “ci sono molti grandi registi come docenti ma non credo di averne capito un cazzo, sai”.
La conversazione avvenne con il sottofondo di un amplificatore fischiante, o forse era la conversazione, il sottofondo, e il fischio la star.
Tenevo tutto nella stessa cartella, disegni, attestati, diplomi, fogli di diario e un miniposter dei Van Halen che, per quanto mi facessero cagare, non buttavo via per riverenza.
“Non importa se non ne hai capito un cazzo, tanto non devi fare nulla, io non posso andare, vai tu al posto mio” rispose lui e così partii per Malaga e andai a insegnare sceneggiatura a un mucchio di ragazzi con l’ormone impazzito. Qualche settimana, nulla di più. Mi trovarono una casa dall’insegnante di lettere, un’anziana donna di settant’anni che coltivava marijuana in giardino. Un giorno entrai e la trovai seduta a fumare erba con un gruppo di amici appena usciti dall’ospizio.
“Cosa vuoi, tanto non ci resta molto da vivere” mi disse uno di loro e poi scoppiò a ridere.
“Non dovreste fare cose simili di fronte a un poliziotto” tirai fuori il portafogli e mostrai… nulla, lo aprii ma credo ci fossero un paio di carte bancomat.
Un consiglio? Mai fare scherzi simili a vecchi sballati, non la prenderanno bene, rischi che ci rimangano secchi tutti quanti. Avevano fumato, mi aspettavo un pizzico di senso dell’umorismo.
C’era anche una ragazza nella stanza accanto, una lesbica di primo livello, di quelle che si vestono da maschio e hanno il taglio di capelli da maschio, ma faceva solo brevi apparizioni, era bergamasca e non so per quale motivo vivesse in un cesso di posto con un cesso di vecchia giacchè dormiva fino a tardi e passava il resto del tempo di fronte la TV, io invece una ragione l’avevo, dovevo insegnare per l’Erasmus anche se non avevo la minima idea di come fossi capitato in quella situazione.
Cosa c’entra tutto questo con le donne italiane? Un attimo e ci arrivo.
Agli alunni raccontai le mie avventure con i professori e glissai le lezioni sulla struttura della storia, del resto sono prolisso e vado costantemente fuori tema, quindi non potevo che danneggiarli.
Raccontai loro di Monicelli, un vecchio scorbutico che, quando entrava in classe, io me ne andavo a fumare fuori con la mia amica Martina. Se avessi saputo che un giorno si sarebbe gettato dal quinto piano di un ospedale per sfuggire al cancro, lo avrei seguito con più interesse. C’era del tenero tra me e Martina ma lei era una sorta di scrittrice in carriera, una mangiauomini con altre aspirazioni. Un giorno stavamo fumando nella mia auto, una vecchia Volvo che io trovavo splendida perché si alzavano i fari come i supercar. Abbassò il sedile, mi prese per mano e io pensai che nel linguaggio femminile volesse dire: scopami adesso o non ti rimarrà nulla di me oltre all’erba buona.
“No, non in questa posizione” disse.
“Quale altra posizione mi resta?”
“Almeno produttore esecutivo”.
Oggi non so che fine abbia fatto ma spero abbia sposato un manovale.
Raccontai ai ragazzi delle mie liti con Gino Capone, Daniele Costantini e del metodo piuttosto discutibile che avevano d’insegnare.
Era l’ultimo anno di vita di Age, quello dei film di Sordi e Dino Risi, lui sosteneva che i giovani andrebbero scoraggiati perchè se scegli la strada della scrittura e non riesci, sei fregato a vita, finisci per fare il netturbino.
Lo farei il netturbino se ce ne fosse bisogno, ma sono stato fortunato, anche se al Federal Bureau non piacerebbe ciò che faccio per vivere.
Francesca Marciano, quella di “Io non ho paura” ci diceva invece che nessuno di loro ci avrebbe appoggiati nella nostra carriera perchè “siamo già pochi e non lavoriamo molto, sarebbe come darci la zappa sui piedi”.
Aveva delle belle gambe ed era così donna e avvenente che avrebbe potuto dirci stronzi ogni santo giorno, non l’avremmo notato. Ricordo di lei la sua abbronzatura dorata anche in pieno Inverno.
Daniele Costantini era quello con cui avevo più feeling, di quelli a cui dai del coglione un giorno e l’altro lo saluti con una pacca sulla spalla. Ci diceva di alzarci, di leggere le nostre idee e poi c’insultava. Un giorno vidi un uomo di 40 anni piangere di fronte a tutti come un bambino perchè non aveva retto il colpo.
Quando arrivò il mio turno portai la storia di una ragazza malata di mente che per sfuggire alle proprie paure si era creata un mondo alternativo talmente veritirero da diventare reale, almeno per lei. La storia s’intrecciava con quella del padre, giornalista a Baghdad, sfruttato dalle milizie americane per stanare i signori della guerra e un acchiappasogni lasciatole dal maggiordomo dei nonni, un vecchio nativo americano.
“Fa schifo” mi disse Costantini, “non ne ho capito un cazzo”
“Sei ritardato” gli risposi.
Non si dicevano cose del genere a persone di una certa caratura all’epoca, penso neanche oggi, così a ogni mia parola calava il gelo. Io lo facevo, ma non ho mai nascosto a nessuno di avere dei seri problemi ralazionali.
“Ricorda che il meccanismo narrativo ‘è reale ciò che non è reale’ non funziona’”
“Psycho, Il sesto senso, Fight Club, Identity: ha appena sputato sul cinema mondiale”.
Da dietro, un collega che faceva l’attore di fiction, un bel ragazzo trattato da tutti come una rockstar, mi sussurrò che a lui ero piaciuto molto.
Fu lì che capii che forse avrei dovuto rivedere la storia.
Da quel giorno in poi, ad ogni insulto di Costantini al lavoro altrui, m’intromettevo chiedendo alla sala un applauso per la vittima. Per ringraziarmi, la classe mi chiese di fare lezione al posto del regista e mi feci trovare in classe a spiegare come non bisogna fare un film prendendo d’esempio Mamma Ebe, di Costantini appunto.
In seguito, quello che scoprii essere un brav’uomo e un indomabile lavoratore, mi rivelò che lo faceva per il nostro bene, che se non fossimo stati in grado di sopportare le aspre critiche in pubblico, non avremmo campato un giorno in quel settore.
“Quindi io ho superato la prova?”
“No, tu sei solo un ragazzino spaccone che crede di sapere tutto”.
Forse non sapevo tutto ma qualcosa la sapevo, come per esempio, che il tema di L’attimo fuggente era “cogli l’attimo fuggente” e non “scopri te stesso” come sosteneva Gino Capone, quello dei film di Jerry Calà.
“Se permetti il professore qui sono io” mi disse.
“Sì ma il film si chiama così, nello stendardo della scena iniziale c’è scritto così e poi…”.
La classe mi venne contro, ascoltando i farfugliamenti di uno che era passato da “libidine, doppia libidine” a sputare sulle odi di Orazio.
“Sei sempre tu, sei sempre il solito”.
Pensare che li avevo sempre difesi, ste mezze seghe con l’obiettivo di produrre fiction per Rai 3.
Quel che volevo dire e che non ho mai potuto dire è che scoprire se stessi e cogliere l’attimo non sono la stessa cosa, che il professore aveva confuso Orazio e Socrate. Scoprire se stessi necessita a volte di lasciarlo scorrere quell’attimo, di attendere, di non bruciare le tappe, se cogliamo l’attimo non necessariamente scopriamo noi stessi. Orazio, del resto, aveva appoggiato l’assassinio di Cesare e sostenuto Bruto che dopo aver perso in battaglia si suicidò. Si rinchiuse in una casa in campagna elemosinatagli da un amico e visse in povertà morendo giovane e cieco, aveva colto gli attimi ma in quanto a conoscere se stesso, credo avesse avuto un’infinità di pentimenti.
Comunque fu quello che raccontai ai coglionazzi dell’Erasmus per far passare loro quell’ora in totale relax.
Malaga non era molto grande, c’aveva questa piazza centrale accanto al museo di Picasso e tutti andavamo lì per il Bottijon. La gente preparava alcolici in casa e poi li vendeva a un euro a bicchiere a chi si trovava in giro.
Io mi trovavo in giro, sempre, in cerca di una ragazza da poter aggiungere alla lista delle scopate di viaggio, ma c’avevano tutte quest’aria da “appena sveglie”, non usavano truccarsi e riuscivano a indossare gli stessi vestiti per giorni. Una sera si avvicinò una tipa con la camicia a quadri e i jeans larghi, era magrissima e mi chiese se avessi una sigaretta.
Le dissi di sì, si sedette accanto a me a fumarla e rimase tutto il tempo a fissare il vuoto senza dire neanche una parola.
Credo di aver fermato il tempo e di aver parlato con me stesso per cercare un discorso da intavolare.
“Chiedile cosa fa lì”
“Sta fumando. Ha la faccia furba, probabilmente mi risponderà ‘non vedi, sto fumando?’ e io farò l’ennesima figura da coglione”.
“Offrile qualcosa da bere”
“C’è più alcol che ossigeno in questa piazza, non credi che abbia già bevuto?”
“Allora perché cazzo mi hai chiamato, se non ti va bene nulla?”
“Non ti ho affatto chiamato, siamo la stessa persona, viviamo seduti l’uno sopra l’altro da 26 anni e non pensare che la cosa mi faccia piacere”.
Ci pensò lei a risolvere la questione, in un attimo mi trovai la sua lingua in bocca e rimanemmo a pomiciare per tutta la notte. Se avesse indossato una gonna sarei riuscito anche a sondarle la fica ma nessuna portava la gonna, a Malaga. Durante una passeggiata assieme le chiesi perché avessero una madonna ogni dieci metri incastonata nelle mura.
“Siamo molto credenti” rispose infastidita dal fatto che l’avessi spinta a dire tre parole.
“O forse lo siete talmente poco da dovervi ricordare di credere ogni dieci metri”.
Sorrise. Mi disse che era arrivata a destinazione e che quella era la sua casa.
La indicò col dito.
La guardai trascinarsi con quelle sue scarpe da tennis del 1982 e non la rividi mai più.
Arrivai a casa e dissi alla padrona dell’appartamento che mio padre stava molto male, era gravissimo, che dovevo per forza andar via. Così riuscii a pagare la metà del mese e a spendere il rimanente per il biglietto per Roma. Lei però iniziò a piangere, si sedette,dovetti darle dell’acqua e cominciò a farmi mille domande su quanto volessi bene a mio padre, a ripetermi frasi erudite per sollevarmi il morale quando mio padre godeva invece di ottima salute e io volevo solo scappare da lì.
Arrivai in aeroporto al pomeriggio e vidi tutte quelle donne in tailleur, truccate, con i capelli appena fatti, con quei culi sodi, i tacchi o semplicemente acqua e sapone ma sorridenti, vivaci ed era come se avessi vissuto vent’anni in carcere senza neanche una rivista porno a farmi compagnia.
Mi inginocchiai e baciai il pavimento, simbolicamente stavo baciando la mia terra.
Il mio amico mi chiamò l’indomani.
“Che cazzo hai fatto?”
“Che ho fatto?”
“Sono due giorni che non ti presenti a scuola”
“Mi avevi detto fino al 13 Marzo”
“Maggio, ti avevo detto Maggio!”
Non avrei resistito un giorno di più. In quello che io pensavo essere il mio ultimo giorno, salutai i ragazzi con abbracci e baci ringraziandoli per le due settimane intense e piacevoli, ma nessuno mi disse nulla riguardo le mie ore di lavoro e alla mia retribuzione.
“E tu non te ne sei interessato?”
“Non sono pratico di cose pratiche, inventagli qualcosa, tanto non ho firmato alcun contratto”.
“Come sarebbe a dire che non hai firmato?”
In realtà ero solo entrato a scuola, avevo detto alla preside che ero il nuovo insegnante di scrittura creativa, lei mi aveva detto due cose in fila con il che neanche avevo capito e tutto era stato semplice come l’acqua di sorgente.
La verità è che lì erano tutti talmente ubriachi, fatti e trasandati che non prestavano attenzione ai dettagli.
Avrei potuto essere chiunque, ma per quale motivo chiunque dovrebbe prendere un aereo per una città che non ama, presentarsi in un’aula a insegnare qualcosa che non sa per una somma di denaro che mai riceverà?
Quindi si son detti: ok, bravo, lì c’è la classe e ciao.
Hanno le donne peggiori del mondo, ma in certe cose sono sempre stati avanti.

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