Covid trip

On 03/10/2020 by alecascio
E’ il momento di entrare in nave, dobbiamo compilare un modulo in cui dichiariamo di non essere affetti da covid19. Ma come possiamo dichiarare qualcosa che non sappiamo? Mai fatto un tampone, giuro, forse una volta da piccolo per lo streptococco, ma lo dichiaro ugualmente perchè altrimenti rimango al porto e arrivederci viaggio dei sogni.
Ci misurano la febbre con lo sparalaser e dico a quello accanto a me che ci potrebbero essere un sacco di asintomatici, che a Vo’ Euganeo, un paesello del Veneto, il 75% degli abitanti era stato infettato ma non aveva sintomi.
“Ma non dire così” risponde.
La gente è molto fragile al momento, così se parli di virus rimangono immobili ad ascoltare come i conigli quando vengono abbagliati dalle luci dell’auto. Io non sono il compagno di viaggio perfetto, ma neanche lui, è stato lui a iniziare per primo mentre eravamo al check-in così sto ferendo di spada chi di spada mi ha ferito, come dice la Bibbia, quell’antica.
“Sai che abbiamo più contagi adesso che quando è iniziato il lockdown?”.
Ride dopo aver fatto la battuta di noi che contagiati rimaniamo bloccati in quel cesso di peschereccio spacciato per nave per chissà quanto e io gli dico di non ridere che con tutti quei tunisini a bordo potrebbe anche succedere.
“Erano a Palermo per fare scalo, ma vengono da Tunisi. Sai quanti tamponi hanno fatto in Tunisia ad oggi?”
“Quanti”
“Duecentomila”
“Sono pochi o tanti?”
“Noi ne abbiamo fatti undici milioni, fai un po’ tu”.
Mi chiede chi mi dà i dati e io gli rispondo che mi piacciono i numeri, che mi diverte guardare le percentuali, ti dà l’idea di quel che accade, di quanto siamo fragili. Per esempio non siamo poi così cattivi in auto, noi italiani, l’anno scorso sono morte d’incidente solo millecinquecento persone, non è tanto visto che qui le patenti le passiamo sottobanco a chiunque si presenti con una busta piena.
Durante il tragitto lo perdo di vista, ma sono certo che eviterà anche di andare a pisciare dopo le dritte che gli ho dato.
Io mi infiltro nel piano riservato ai tunisini, scritte in arabo dappertutto, musica inascoltabile e soap opera anni ’70 recitate malissimo da agente coi baffi e donne con la messa in piega. Mi sembra di essere tornato ai tempi dell’Apartheid e la cosa mi rende il viaggio piacevole perchè è come fare un salto indietro nel tempo.
Nessuno di loro mi chiede: “Hey, che cazzo ci fai nel nostro scompartimento?”, quindi suppongo che i negri lì siano loro e non io. Mi salutano con un sorriso come se fossi uno di loro e non è tanto palese che non lo sia giacchè sto zitto e rispondo con un inchino.
Non c’è un solo dosatore con qualcosa d’igienizzante dentro o qualcuno a controllare che portiamo le mascherine e in bagno è anche finito il sapone. Io ho il mio bottiglione di Amuchina che uso ogni tanto perchè mi fa sentire disinfettato, ma nel resto della nave regna lo germismo. Eppure quella è una grossa compagnia, tra le tre più grandi in Italia.
Ci chiamano per mangiare, in fila c’è un mucchio di gente che se rispettasse il metro non basterebbe neanche il Titanic, gli addetti al cibo hanno la mascherina, anche i guanti, però prendono il pane coi guanti e poi con quelli toccano i soldi e poi di nuovo il pane e quindi capisco che presto o tardi quella gente sarà tutta morta.
Io mangio a sacco, faccio sempre così, non è che sono taccagno ma ho lavorato nei ristoranti e quando i cuochi e i camerieri sono incazzati sputano dentro le portate oppure c’infilano il dito dentro e in quel posto lercio, in mezzo al mare, a lavorare, hai più di un motivo per voler mettere le tue caccole dentro la lasagna.
L’indomani ci chiamano, ci dicono che dobbiamo sbarcare e che dobbiamo rispettare il metro di distanza, ma come dei bambini appena usciti da scuola ci accalchiamo e ci scambiamo umori di qualunque tipo pur di arrivare a terra e ricominciare la nostra vita da cazzo prima degli altri.
All’uscita prendo una granita allo yougurt al bar, lì la notizia del covid sembra essere sfuggita a tutti, camerieri, baristi e clienti.
Un tizio sorridente che se ne sta seduto con gli amici mi urla: “E’ chiuso”.
Allora faccio per andarmene ma la cameriera mi chiama: “E’ aperto, lascialo perdere a lui”.
Compro anche il tabacco ma lei non sa il prezzo, neanche io perchè tengo a mente solo le grosse cifre ma non quelle con le virgole, quindi il resto lo prendo, lo metto in tasca e magari me lo ritrovo nei pantaloni in tempi di magra.
“Guarda, prenditi 7 euro che tanto sarà 6 euro e qualcosa”.
“No, no, non è giusto” risponde ma intanto passa il tempo e anche quello è denaro, se la mia vita valesse dieci centesimi al minuto ci avrei perso ma non vale un cazzo e si vede dalla faccia, quindi lei se la prende comoda.
Arrivo in questa baraccopoli spacciata per Cottage in Camping che forse è bello quando c’hai 19 anni e mezzo e sei con gli amici d’Estate ma alla mia età ricorda molto le casette che Berlusconi ha donato agli abruzzesi dopo il terremoto.
All’entrata c’è una ragazza rumena multitasking che parla cinque lingue, mi compila il modulo covidfree e parla al telefono contemporaneamente.
“Spunta qua, spunta qua, spunta qua” dice a se stessa mentre col tablet dichiara allo stato italiano che non c’ho il covid, ma mica me lo chiede, va a intuito perchè in fondo, a meno che io non sia il nuovo unabomber del virus, che cazzo dovrei andarci a fare in un campeggio col covid?
Un ragazzo senegalese mi musira la febbre, solo dopo che il modulo è stato compilato: 36 e 2, come sempre, i ghiacciai si sciolgono, le montagne crollano ma dentro di me l’effetto serra non ha sorbito alcun effetto.
Un marocchino mi accompagna al mio alloggio e dei filippini mi portano le lenzuola, così comincio a pensare che quella cosa che dicono sempre tutti è vera: non è che agl’italiani non gli va di lavorare?
L’indomani alla posta vedo un gruppo di gente in fila coi guanti, penso che in Sicilia non ci siamo ancora arrivati ai guanti e che qui nel continente stanno avanti, poi però vedo una che fa il bancomat che prima digita, poi prende il telefono, se lo passa in faccia, poi ridigita e allora capisco che c’avranno anche la tecnologia
ma non hanno ancora imparato a usarla.
Mi viene da pensare che: o tutti c’hanno il covid o sto virus è na testa di minchia.
Insomma, è palese che nonostante i mille accorgimenti nessuno sta davvero difendendosi da nulla, tocca qui, tocca lì, con quello sto a un metro ma con quell’altro mi ci bacio quasi in bocca: tutti siamo infetti.
Vado a trovare sti due giovani belli come il sole col cane bello come il sole, con la bambina bella come il sole che vivono in una casa bella come il sole in sto paesino bello come il sole e con me presente sembra che abbiano sputato sulla Venere di Botticelli.
Lui non lo conosco, ci parlo, mi parla e alla fine scopro che non mi ha mai visto in faccia, perchè lì, sui monti, in mezzo agli alberi, portano le mascherine, che al virus con tutta quell’aria pura manco gli si drizza, piuttosto pensa: sai che c’è? Ma vaffanculo.
Mostro il mio volto, lui mostra il suo e senza pensarci dice: “Piacere, Francesco”, come se mascherati non fossimo realmente noi.
Un poliziotto, in centro, mi dice che dopo il lockdown la gente ha perso il lavoro e allora nessuno affitta più case a nessuno perchè quelli che c’avevano inquilini con busta paga si sono ritrovati a dover campare dei barboni.
Mi dice: “Pensa che un’amica mia ha affittato la casa a uno e l’ha trovato morto dentro, in decomposizione, non proprio ma quasi, puzzava e non gli aveva neanche fatto il contratto”.
“Era morto di coronavirus?” gli domando.
“E che ne so, mica lo vengono a dire a me”.
E a chi lo dicono se non alle forze dell’ordine, ai Men in Black?
Comunque io di tutta sta situazione non c’ho ancora capito un cazzo, racconto quel che vedo, quel che sento, do i numeri ma neanche io lo so se effettivamente la situazione è grave perchè non lo so quanta gente muore d’indigestione, di blocco renale, di tetano ogni anno, so solo quelli del covid e quindi sti 35.000 morti può essere che sarebbero morti comunque, prima o poi. O no?
AC
adesivi-disegno-della-nave-jpg

Comments are closed.