Saint-Marie De La Chapelle

On 28/10/2020 by alecascio
Saranno due anni ormai che non varco il cancello di questo cimitero, due anni che non piagnucolo di fronte l’immagine di Danielle per scusarmi di non aver pensato a lei prima che al mio lavoro.
“Se fossi tornato prima, se non mi fossi fissato con quello stupido articolo oggi saremmo ancora insieme”
I cipressi sono sempre ben curati, così le siepi di bosso e i crisantemi. Bernard il custode mantiene l’atmosfera con invidiabile arte scenografica. Ogni pietra tombale è sempre ben pulita cosicchè niente possa turbare i futuri inquilini che per il momento si godono lo status di visitatori con confortante distacco. I fiori e le candele sembrano raccontare la storia di ogni trapassato. La tomba di Santiago Martinez è così piena di fiori che bisogna discostarli per leggerne lo smielato epitaffio. Una ciurma di ragazzi vestiti di nero e borchie prova a immaginare il defunto, lo descrive come un uomo ricco e di successo, secondo loro il maggior successo deve averlo raggiunto con la propria famiglia, amorevole a tal punto da non fargli mai mancare la freschezza di margherite e rododendri: un vestito tombale festoso, come nei grandi party all’aperto che usava indire in vita.
Uno di loro passa alla tomba di Lucienne De Merenard: “Anche in morte esiste povertà e ricchezza” dice stritolando la rosa appassita, lì ormai da settimane. L’eccitante tour dei ragazzi si conclude con un saluto alla piccola Miriam, una bambina di appena sei anni, che da sola innalza l’odiens del grande spettacolo di Saint-Marie De La Chapelle.
Bernard si avvicina alla tomba di Santiago dopo aver ascoltato in silenzio il commento dei ragazzi, cambia l’acqua e lustra il vaso argentato, poi toglie le due margherite gialle dai petali cadenti e ne aggiunge di nuove, così fa con molti ricchi uomini d’affari che non hanno mai un visitatore, viene pagato sottobanco per quel suo servizio extra.
Un uomo e una donna in ginocchio si tengono per mano di fronte all’immagine del loro unico figlio, ed io, passando, provo a non destare scompiglio in quel dolore lacerante, ma lascio dietro me un rumore di foglie che il vento che porto ha strattonato. M’incammino verso la lapide in cui Danielle giace e osservo il suo viso d’angelo.
Mi siedo.
Ha iniziato a piovere e, sotto la pioggia, il silenzio rende i ricordi più rumorosi.
Avevo detto a Caroline di restare a scuola, che sarebbe passata la mamma a prenderla nel pomeriggio. Io dovevo ancora finire di scrivere il mio pezzo, ma avrei inventato un finale lampo e sarei tornato a casa in tempo per portarla alla festa di Halloween della sua compagna di classe.
“Da cosa ti sei vestita?” le chiesi.
“Da zombie ma mamma ha scordato di comprarmi la corona”
“Le principesse hanno la corona, non gli zombie”
“Io voglio essere una principessa zombie”
“Ok, Lady D, proverò a passare dal negozio prima che chiuda”.
La strada sterrata a sud era invalicabile e cercai una scorciatoia impantanandomi nel fango.
Chiamai mia moglie e le dissi che avrei ritardato.
“Aspetto il soccorso, roba di un attimo”.
“Non scordarti la corona” mi rispose.
“Non credo di farcela, potresti…?”
Mi rispose che non c’era alcun problema, che come al solito ci avrebbe pensato lei, poi cadde la linea.
“C’è stata una frana a nord della statale 24”, disse il ragazzo del soccorso stradale, “proceda lentamente, ha uno dei fari antinebbia fuori uso”.
Eddie Vedder e Neil Young cantavano ‘Rockin in a free world’ mentre la 24esima scorreva bagnata sotto le ruote della mia vecchia Mercedes.
Un poliziotto mi fece cenno di rallentare. Abbassai il volume dello stereo e chiesi all’agente cosa fosse successo.
“Non sono qui per rispondere alle sue domande”, mi disse, “prosegua lentamente fino all’uscita”.
Le sue ultime parole si dissolsero nel martellante ticchettio della pioggia battente.
“Sono un cronista di El Pais, vede” gli mostrai il tesserino.
Non era il momento adatto per una nuova storia, ma avrei solo dato un’occhiata e avrei passato il pezzo alla mia stagista via whatsapp tra un dolcetto e un altro.
Scesi dall’auto e m’incamminai verso quello che sembrava essere un brutto incidente.
Proprio alla mia destra un infermiere parlava con una sua collega, a testa bassa: “Una donna e la sua bambina, povera piccola, credo stessero andando a festeggiare. ”.
Non riconobbi subito l’auto di Danielle, ma vidi una coroncina dorata accanto ai corpi coperti da un telo e capii che d’allora la mia vita non sarebbe più stata la stessa.
Mi sentii tirare per la giacca da uno sbirro: “Dove crede di andare?”.
Cercai di liberarmi dalla sua morsa:
“Ci sono mia moglie e mia figlia lì per terra”.
Riuscii a divincolarmi con facilità e corsi verso le lamiere dell’auto deformate dall’urto facendomi spazio tra i pompieri.
Ero narcotizzato dal dolore, seguii con lo sguardo il rigagnolo di sangue, fango e pioggia che si dirigeva verso le mie scarpe.
Mi afferrarono in tre e stavolta non opposi alcuna resistenza.
Prima di abbassare lo sguardo fissai uno degl’infermieri avvicinarsi al corpo della piccola, le tolse prima il telo, poi la maschera: la bambina aveva la pelle nera.
Mi passai una mano sul volto: per la prima volta in vita mia ero felice della morte di qualcuno. Pensai di essere una persona orribile.
Rientrai in auto e poggiai la testa sul volante, l’ultima cosa che sentii prima di vedere il buio fu un grosso boato.
La pioggia, oggi, è fitta come quel giorno. Vedo Bernard avvicinarsi a Danielle e accarezzarle la testa.
“Come sta, Signora? E la piccola?”.
Lei si asciuga le lacrime e la pioggia dal volto, poi risponde cortesemente: “La piccola Caroline è ormai una donna, Bernard”.
Sorride: ne ha ancora la forza.
“E lei, quando si sposerà? Charles è un brav’uomo, lo conosco da quand’ero piccolo così”
“E’ già sposata, Bernard, lo hai dimenticato?” sussurro nell’orecchio del custode, “va a spazzare via le foglie dalla tomba di De Merenard e smetti d’importunarla”.
Finge di non sentirmi e si prende gioco di me: “Sono certo che se Marcel fosse qui le darebbe la sua benedizione”.
Caddi dalla lapide su cui mi ero accovacciato come un corvo e bestemmiai.
“La darò a te la benedizione se non la smetti” urlai.
Danielle posò il fazzoletto nella borsa e abbracciò il vecchio custode mentre io giravo nervosamente attorno a loro cercando di farmi sentire, cercando inutilmente di toccarli.
I due coniugi che osservavano il proprio figlio nella cappella vicina, si voltarono a guardarmi. “Faccia silenzio” mi dissero, “un po’ di rispetto per il dolore della gente. Abbiamo appena perso un figlio”.
Corsi come impazzito verso di loro e scompigliai la rada chioma dell’uomo, poi presi la moglie per un braccio e l’avvicinai al ragazzo che avevano di fronte: “Lo guardi, per Dio! Non vede che è lui a piangere voi?”.
Bernard mi richiamò.
“Neanche tu, quando arrivasti, sapevi di essere morto: dai loro il tempo necessario per rendersene conto”.
Bernard riusciva a parlare con tutti noi. Non era un medium, solo un uomo che sapeva vedere più in là, perché lui, più in là, era l’unico a volerci guardare.
Inseguii Danielle, le chiesi di fermarsi.
“E’ inutile” disse Bernard.
“Tu dici? Hai mai visto Ghost, anche a lui dicevano che fosse inutile e invece …”
“E invece cosa?”
“Tornarono insieme e fecero un grosso vaso di terracottaa. Non ce l’hai una Tv nella tua catapecchia?”
“Ce l’ho e ti assicuro che non è così che finisce”
Caddi in ginocchio, stanco di cercare di fermare l’aria.
“Com’è che finisce?”
“Ognuno va per la sua strada. Devi darle una speranza, un motivo per continuare a vivere, se la ami ancora”.
Mi alzai e lo guardai in cagnesco. La piccola Miriam si avvicinò a me, mi prese per mano e dopo essersi tolta la maschera, mi chiese di portarla da sua madre.
“Stavamo portando la corona da principessa a Caroline, poi l’ho persa di vista, ma dev’essere qui da qualche parte”.
“Non c’è ancora, ragazzina, ma stai certa che prima o poi arriverà e ci rimarrà a lungo”.
Bernard m’invitò a rialzarmi: “Adesso è lei il tuo compito, Marcel”.
Danielle aveva prestato l’auto alla signora Agnès che si offri di raggiungere il negozio di giocattoli al posto suo. La donna si era salvata, ma nessuno aveva mai avuto il coraggio di dirlo alla bambina.
Lucienne De Merenard era ferma di fronte la sua tomba. Urlò tanto da spaventare la piccola Miriam che mi abbracciò forte.
Se i viventi piangono i propri morti, noi morti piangiamo i nostri vivi in egual modo, poi ci sono i peggiori, i morti che piangono se stessi.
Presi per mano la piccola Miriam e lasciai per sempre Saint-Marie De La Chapelle.
“Dove mi porti?” mi chiese la bambina.
“E’ Halloween, andiamo a festeggiare, un dolcetto per ogni infarto”.
Bernard m’inseguì: “Ti ho detto che non possono vederti”
“E io ti ho detto che dovresti comprare una TV, vecchio”.
AC – Saint-Marie De La Chapelle
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