Due storie d’amore tra vecchi e cani

On 05/10/2012 by alecascio

Nonna ha compiuto il mese scorso 97 anni ed è lucida e in salute più di me che a trentanni c’ho l’esistenza a cocci perchè sono di vetro e la vita mi sbatte e non mi assorbe.
Un po’ meno lo era nonno, morto a 92 anni.
Assieme hanno avuto 10 figli e una leprina quantità di nipoti.
Andai da loro un giorno in cui cercavo di fare pace con me stesso e chissà perchè pensai che quel me stesso imbronciato fosse ancora sul tavolo della cucina a guardare lo schermo del grande cinema all’aperto di fronte che trasmetteva sogni.
Nonno appena mi vide mi strinse la mano e mi chiese di seguirlo senza neanche guardarmi in faccia.
Mi trascinò fino al televisore e: “Non so cosa gli è preso, funzionava e adesso …”, si lamentò giocando col telecomando.
Diedi due colpi al vecchio aggeggio da museo e risposi: “Non so che fare, prova ad accendere”.
Accese e ribattè: “Ti ho detto che non funziona!”
Rimasi un attimo a guardare il video interrotto e pensai a me bambino che credevo che dentro la TV fosse finita la cenere di mia madre che fumava in continuazione e riempiva ogni cosa di quel suo finto tabacco bruciato e brizzolato che pareva forfora.
Feci finta di capirne qualcosa ma dovetti ammettere che: “Davvero, non so che farci!”
“Allora mi spieghi che sei venuto a fare?” mi rimproverò.
Nonno beveva come un tombino in inverno, giocava d’azzardo e andava a donne in motorino, ma nessun uomo è stato mai rispettato dalla moglie più di lui che quel giorno baciò nonna di fronte a me senza esitare nonostante non avesse quasi più le labbra. Lo fece e rise come se non riuscisse a conquistarla ancora, ma ci sarebbe riuscito un giorno, se ci avesse provato con insistenza.
Lei le si staccò di dosso e strattonanandolo gridò: “Andrea, guarda che questo è tuo nipote”
“Ah” si scusò lui, “mi sembrava il tecnico”.
“Non farci caso” mi sorrise nonna: “Ha preso due milioni al totocalcio e ha festeggiato”.
“Allora festeggio anche io” feci cenno col pollice di darmi da bere.
Ma lei scosse la testa: “Festeggerei anch’io se non ne avesse spesi tre”.
Nonno non era presente come i nonni degli altri perchè aveva troppi nipoti, ma mi accorsi solo al suo funerale che gli volevo bene e che mi sarebbe mancato, perchè quando andavi a trovarlo ed era abbastanza in senso da riconoscerti, rideva con la bocca spalancata dimostrandoti che davvero era felice di rivederti. Non ti chiamava per nome, ma per appartenenza.
“Sei il figlio di Nino?”, mi chiese.
Poi, come se fosse stato lui a crescermi mi rimproverò per la mia continua assenza da quella che per lui era casa mia, casa nostra, dei suoi figli e dei suoi nipoti.
Mi prese per un orecchio e disse: “Cristo Dio, ma perchè non vieni a trovarmi? Siamo vecchi, viviamo solo per questo, non ci resta nient’altro”.
Gli promisi che lo avrei fatto, ma quella fu l’ultima volta che lo vidi. Cinque anni dopo morì di morte, l’unico modo che ha un uomo sano a quell’età di morire. Il corpo si ferma perchè ha fatto tutto e non ha più nulla da dire al mondo.
La falce che ammazza chi muore di morte è quasi indolore e tu sei così rintontito dalla senilità che a malapena riconosci la differenza tra respirare e spirare: è beneducata, aspetta che tu vada a dormire.
Adesso nonno è in cielo sopra un Gilera verde a toccare il culo agli angeli.

A.C. – L’origine dei Cascio, Una storia assolutamente vera

Una storia saggia

I più grossi insegnamenti della mia vita li ho avuti da Mosè.
Una delle prime cose che mi ha insegnato è che non basta un ordine per riordinare la natura. Quindi, se gridi “no, non si fa” puntandogli il dito sul muso a un cucciolo di un mese che ha fatto la pipì sul tappeto, lui lo rifarà, perché è piccolo, ha ancora la vescica debole. Mosè d’altro canto ha imparato da me che non basta sostare sotto la finestra della persona che ami facendo tutto il casino possibile, per avere le sue atenzioni, ragion per cui oggi dormo con i tappi alle orecchie e se mi si cerca è inutile telefonare, citofonare, gridare a meno che non riusciate a fare più rumore di un Beagle che ulula e si strofina il sedere per le siepi come Jacob nelle imbarazzanti scene tagliate e che mai vedrete di Twilight.
Da un po’ di tempo ero preso dalle mie mille cose, novecentonovantanove di queste non sono “lavorare” ma prendono comunque una grossa fetta di tempo durante la giornata. E poi c’è quella cosa di lavorare che quando c’è ti sfianca e quando non c’è anche. Mosè, dal canto suo, cercava di rendermi la vita difficile distruggendo qualsiasi cosa trovasse per la sua strada, tanto da guadagnarsi il soprannome di Killer per le sue continue stragi di colombe, serpenti, civette, lucertole e topi. Sì, io vivo a Sherwood.
Per questo ho deciso di farlo dormire fuori e così ho trasferito la sua poltrona biposto anni ’70 e di valore inestimabile che lui ha deciso di proclamare come sua cuccia nonostante il capolavoro in legno che gli ho progettato e costruito. Ok, non l’ho progettato. Ok, ok, non l’ho costruito, l’ho solo montato. Ok, ok, ok, non l’ho montato io, l’ho solo comprato. Ok, ok, ok, ok, non l’ho …
Oh, ma un po’ di cazzi vostri?
Piangeva il pomeriggio, piangeva la sera, piangeva la notte sostando dietro alla recinzione che dà sul terreno del vicino, persona rumorosa, ma molto cordiale con il vizio del karaoke il Venerdì, il Sabato e la Domenica sera. Non sarebbe un problema se avesse la voce di Maynard James e ascoltasse i Pearl Jam.
Ma no, lui non ascolta Maynard e no, “Fiumi di parole” non è dei Pearl jam.
Ho deciso di spiare Mosè e ho scoperto che passava il suo tempo ad osservare una cagnetta che io ho ribattezzato Agar, come la schiava che il profeta della bibbia ingravidò.
Non si può piangere così per una femmina. Era imbarazzante che un essere soprannominato Killer potesse lagnarsi tutta la notte odorando e leccando la passera di un volpino nano da dietro una rete metallica.
Mosè ha quasi un anno e mezzo, è piuttosto prematuro per la sua età: io a quell’età non sapevo neanche di avere un pene.
Da qualche parte ho letto che un anno di un cane corrisponde a sette-otto di un essere umano. Se è così, io all’età di Mosè sapevo benissimo di avere un pene, erano le ragazze a non saperlo e vani erano i miei tentativi di sollevarle dalla loro ignoranza.
Erano circa cinque giorni che non sentivo ululati e sbraiti: niente lacrime, niente lamenti.
Poi, la mattina di Domenica, mi sveglio con la sensazione che qualcosa non vada.
Fuori è scoppiato un temporale, così chiamo Mosè per farlo stare al caldo, ma lui non risponde. Una cosa strana visto che di solito al “Mo” lui mi è già addosso e al “sé” l’ho già rimproverato per avermi leccato la bocca, non la faccia, non il naso, lui va al sodo. Ma è impossibile riordinare la natura con un ordine.
Lo chiamo più volte sotto la bufera e si presenta venti minuti dopo completamente bagnato e ricoperto di fango. Si trova nel terreno adiacente, in una delle quattro proprietà dei quattro vicini che mi hanno circondato e che sperano in una mia dipartita per chiedere l’acquisto dei miei possedimenti e conquistare finalmente la loro Kamchatka.
Scavalco, lo prendo in braccio e scavalco nuovamente con lui tra le braccia. Piange, ha capito di aver rischiato l’ipotermia e di essersi avventurato per terre a lui sconosciute. Lo asciugo col phon e lo lascio dormire nella sua meravigliosa poltrona kitsch.
Nonostante tutto, dopo mezz’ora scompare nuovamente. Cerco di capire come sia uscito e dove sia andato e lo scopro a scopare con la cagnetta Agar del vicino. Non lo ha fermato la paura dell’ignoto, la paura di morire, era da una decina di giorni che soffriva per Agar e non lo avrebbe fermato nulla, né una bufera né una recinzione.
Per quei cinque giorni di silenzio aveva accuratamente cercato di trovare un modo per abbattere una zona della recinzione tagliata dai ladri qualche anno fa e rattoppata con del fil di ferro. Ha tolto il filo con i denti sciogliendo tutti e sei i punti legati e ha creato un varco.
Adesso era lì, a scopare e leccare la passera di Agar.
Da qualche giorno dorme in casa, con me. Tutta la sua rabbia, il fracasso che faceva, i pianti, gli ululati, tutto passato, non è più quel casinista di nome Killer che io conoscevo, sembra uscito da Harvard piuttosto.
C’era un famoso filosofo russo che diceva: “Non c’è saggezza più sincera che quella che si trova in natura”.
Ok, non era russo. Ok, ok, non era poi così famoso. Ok, ok, ok, non era neanche un filosofo.
Ok, ok, ok, ok, l’ho detto io.
Oh, ma voi, i cazzi vostri …
Vi sentite mai così rabbiosi e immotivati da voler distruggere tutto quello che avete attorno?
Vi viene mai da urlare, da sbraitare o, nei casi più malati, da ululare?
Scommetto che vi chiedete perché mai vi sentite in quel modo, che fate giorni a cercare la motivazione nel passato o nell’incerto futuro.
Vedete, Mosè non ha esitato un solo istante a trovare la causa del suo male: aveva bisogno d’amore.
Non importava come ci sarebbe riuscito, a niente sarebbe valsa la paura, né la pioggia, né il fango, né i confini dell’uomo lo avrebbero fermato, perché lui aveva un bisogno essenziale che andava soddisfatto a costo della sua stessa vita.
E voi, cosa fareste per un po’ d’amore?
Mosè mi ha insegnato che bisognerebbe abbattere le barriere, che bisognerebbe camminare sul fango per l’amore, ma soprattutto mi ha insegnato che leccare una fica non è solo un piacere, ma è un dovere morale di ogni uomo.

Alessandro Cascio

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