Vitrolles

On 04/07/2021 by alecascio
Spostava i vestiti da un posto all’altro della stanza, cercavo di visualizzare l’esatta posizione della palla sperando che non entrasse in porta proprio durante una delle sue nervose passeggiate fino alla sedia barra armadio barra portaoggetti.
“Sto guardando la partita, potresti farlo dopo?”
“E’ per questo che sto facendolo adesso, perchè stai guardando la partita”.
“Stai facendo cosa, esattamente? Stai solo ammucchiando dei vestiti che probabilmente erano ammucchiati da qualche altra parte. Mettili almeno nell’armadio”.
“Non è ammucchiare se li metto nell’armadio? Ovunque li metti li ammucchi, a meno che non li tenga a una distanza di almeno un paio di metri l’uno dall’altro”.
Conoscevo bene l’atteggiamento di chi si è rotto il cazzo, vuole litigare e poi rompere definitivamente, “ma non durante la partita” pensavo. Speravo che lo capisse anche lei e aspettasse il fischio finale per vomitarmi addosso tutti i miei difetti.
“La gente pagherebbe per avere una donna bella come me in casa”.
“Non sei bella, sei solo giovane”.
“E tu non sei saggio, non sei maturo, non sei un uomo d’esperienza, non sei un uomo di mondo, sei solo vecchio”.
“Hai ragione, a una certa età ho barattato la bellezza con qualcosa di utile”.
Aveva dei lunghi rasta biondi, la pelle color latte e gli occhi che cambiavano colore a seconda dell’umore.
“Ogni tanto mi si spengono gli occhi” diceva. Da azzurro intenso passavano a color palude quando era giù di morale, ma qualunque fosse il vero colore dei suoi occhi, erano sempre più belli dei miei, piccoli e inespressivi, mai apprezzati, assenti al mondo e presenti a me stesso solo per necessità.
Mi lanciò un paio di mutande in faccia, erano le sue quindi non le tolsi, le scostai solo leggermente. A quel gesto d’amore uscì dalla porta e si mise ad attendere che finisse il secondo tempo per continuare la guerra.
Un due a zero che mi lasciò l’amaro in bocca, avrei vinto un sacco di soldi con un gol in più, ma i giocatori decisero di abbandonare ogni speranza a dieci minuti dalla fine, milionari viziati e senza dignità con le doti fisiche di un gorilla e gli stessi limiti mentali.
“Apprezzi la mia arte?” mi chiese.
“Più di qualunque altra”
“Menti, se fosse apprezzabile sarei già famosa”
“Io so da dove proviene, come la partorisci, ho una vantaggio rispetto a loro”
“Allora perchè mi sento inutile?”
“Perchè il mondo non è stato organizzato in modo che quelli come te possano sentirsi utili, era doveroso, altrimenti la più grande aspirazione per l’uomo sarebbe stata l’arte e saremmo tecnologicamente fermi all’età del bronzo, mangeremmo pannocchie, moriremmo di dissenteria, probabilmente ci saremmo già estinti”.
“Quindi pensi che gli artisti siano inutili?”
“Solo quelli che amano lo shopping”
Eravamo due morti di fame, per una settimana mangiammo pane e maionese per poter pagare la bolletta della luce, le avevo proposto di usare le candele, mi aveva risposto che anche le candele si comprano, le avevo ribattuto che se lasciavamo colare la cera in un apposito contenitore, con qualche stoppino potevamo usarle più volte, si era recata in bagno, aveva tirato lo sciacquone e mi aveva urlato:
“Senti questo rumore? Anche questa è elettricità”.
Avevamo provato a vendere i suoi quadri in un mercatino del posto, ne avevano comprati un paio ma le pareti hanno un’estensione limitata, sono state tutte occupate da artisti deceduti: le pareti sono per il passato, i comodini per il presente, i cassetti per il futuro.
“Non è che non sono belli, è che non ho spazio” le dicevano.
Così le consigliai di dipingere qualcosa di più piccolo e per una settimana, per farmi un dispetto, dipinse formiche su tele giantesche.
Fece la valigia e andò a stare da un’amica, mi disse che aveva solo perduto tempo, che l’arte è apprezzabile solo quando si è ricchi.
E io lo ero, ricco, avevo tre case in tre diverse nazioni e una quantità di soldi in banca che avrei potuto starmene per dieci anni a gambe accavallate, ma per la mia storia quella vita non andava bene, parlava di due artisti che dopo un periodo di stenti avevano conosciuto la ricchezza perdendo ogni stimolo creativo. Il metodo Stanislavskij lo apprezzai talmente, ai tempi della scuola di recitazione, che avevo continuato a usarlo anche nella scrittura apportando le dovute modifiche.
“Roberta!”
La chiamai sulle scale.
“Il libro”.
“Puoi tenertelo” rispose.
“Non quello, il mio libro. I protagonisti hanno appena firmato un grosso contratto e si trasferiranno a breve in una lussuosa villa”.
Prese uno dei tanti fermagli che le contenevano la testa capelluta e me lo tirò contro.
“I tuoi personaggi sono più fortunati di noi. Fai loro i miei

complimenti, fallito”.
Sarebbe stata dura continuare senza di lei, il personaggio femminile l’era stato costruito addosso e non ne avrei trovata una uguale che volesse vivere con me nella mia villa a Vitrolles, solo stupide e mignotte sarebbero state disposte a cullarsi in tanto sfarzo.
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