Isabel

On 19/10/2021 by alecascio
Sono arrivato al punto in cui il protagonista la spoglia in uno squallido bordello di Camagüey e s’inebria finalmente dello sfavillio abbagliante del buio ebano che svela quanta luce è imprigionata in un buco nero. Sta per essere il primo scienziato senza istruzione a vincere un Nobel per una ricerca condotta con soli 500 pesos e senza mutande quando il mio vicino comincia a scatarrare come se stesse stramazzando sul pavimento e la mia fantasia affonda nella sua decadenza.
Isabel rimane immobile ad aspettare di fare da gelato al cacao a un beone italiano con la passione per la carne esotica ma quella bramosia malata rimane rappresa fuori dalle finestre come mucose sui bronchi di un sessantenne inghiottito dal suo miserevole declino. Il mio protagonista, carismatico seppur privo di quella bellezza che si attribbuirebbe a un amatore, si tramuta di colpo in un panzone pelato con una maglia bianca aderente che sponsorizza un’azienda di pneumatici.
Lascio Isabal congelata nella sua posa ubbidiente e la copro con un velo bianco per non sprecare neanche un attimo di quell’immagine statuaria, lui invece lo trascino con me sul balcone a fumare una sigaretta.
“Allora che c’è” mi chiede, “stavamo per scoparcela, due tre righi e l’avremmo aperta col nostro cazzone bianco, quella troia”.
Poi sputa sul davanzale e si pulisce la bocca con l’avambraccio.
Lo afferro per un orecchio.
“Punto uno” gli dico, “il mio protagonista non userebbe mai i termini che hai appena usato per descrivere un atto così spirituale. Punto due, ci vogliono più di due righi per celebrare il corpo di Isabel. Punto tre, non chiamarla mai più troia. Punto quattro, tu non rientrerai in quella stanza, non dovresti neanche essere qui”.
Si gratta il capo sudato e si chiede dove abbia sbagliato.
“A pagina trentadue dici che è una puttana, siamo in un bordello, siamo lì per scoparcela, cosa ti prende adesso?”
Non è colpa sua, ho un iperattività congenita che m’impedisce d’isolarmi se non nel reale isolamento, un limite invalicabile per uno scrittore.
“Non eri nei miei piani, datti pace”.
Ma non può se io per primo non sono in grado di darmene.
Un’auto color panna attraversa lentamente l’incrocio suonando musica neomelodica ad un volume illecito, una porta viene maltrattata dall’ennesima casalinga nevrotica sul pianerottolo e un cane legato alla mano del padrone annusa il culo di un suo simile sul marciapiede di fronte.
Isabel, meriteresti fiori di celosia appena sbocciati, cascate schiumose colme di pesci in amore, suoni di tres accompagnati da un cequerè, invece di questo martirio metropolitano.
“Capo, abbiamo ancora duecento pagine da scrivere e tu non hai l’aria di chi ha scelto la via della longevità.”
“Esci dalla mia mente, adesso” mi ripeto, ma lui è lì, talmente barbaro e stupido da non essere adatto neanche al ruolo di pappone.
Torno a letto, mi copro fin sotto il naso e recito un mantra: la mia mente è libera da pensieri, paure e preoccupazioni, il mio orizzonte è vasto e roseo, i miei pensieri scorrono chiari e lucidi. Poi mi maledico per non essere impermeabile al superfluo.
L’anziana signora del piano di sopra ha deciso di pulire casa, sposta sedie, mobili, cassapanche e inevitabilmente me la ritrovo a pulire l’unico tavolo della mia stanza vecchio di cent’anni e a lamentarsi che dovrei trattarmi meglio. Non odio chi cerca di mantenere in ordine gli oggetti perché incapace di ordinare la propria anima, ma è l’incoscienza del gesto che m’infastidisce.
Uno dopo l’altro, tutti i rumori del mondo prendono vita e si affollano attorno al mio letto.
Decido di aspettare la notte, quando tutti saranno assenti dal loro disgustoso mondo quanto basta per rendere migliore il mio.
Al tramonto è ancora troppo giorno per ritornare da Isabel, la lascerò sola fin quando non cederà l’ultimo insonne.
Poi finalmente la magia.
“Capo, riesco a vedermi i piedi attraverso la mano” dice il panzone seduto da ore sulla mia sedia migliore: “Capo, riesco a vedere il pavimento attraverso i miei piedi”.
Si contorce su se stesso cercando di comprendere le meraviglie della trasparenza e poi svanisce come ogni altro.
Torno da Isabel che sono le tre e un quarto, dipingo un pomeriggio rosso fuoco e delle tende bianche ricamate a mano.
La bacio in fronte e la ringrazio di aver atteso tanto. Quel suo corpo sanerebbe ogni cancrena e la mia anima ne è piena.
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