Cyrano

On 22/06/2022 by alecascio
Legge Cyrano de Bergerac in riva al mare, assorbita dalla lettura non si accorge che il suo telo sta per essere inghiottito da un’onda. Passo di lì per caso, preso da una delle mie lunghe passeggiate sul bagnasciuga per mostrare alle femmine d’uomo il mio fisico scolpito aspettando che mi fissino intensamente e abbassino lo sguardo quando me ne accorgo. Le vedo arrossire, mi avvicino e alla mia vista il loro cuore si …
“Allora me lo dai o no quel telo?”
Mi capita spesso, io non vivo, immagino di vivere ma in quei frangenti il mio spirito abbandona il mio corpo che rimane posteggiato lì dove l’ho lasciato, in balia di ladri, stupratori, assassini, altri spiriti vaganti che cercano un corpo nuovo e accattivamente.
“Sì, scusa, stava portandoselo via il mare”
“Grazie, gentilissimo”
In realtà non sono stato gentilissimo, semplicemente sarei stato un enorme stronzo se non lo avessi afferrato prima che prendesse il largo per le coste africane.
“Prego” le rispondo e lei mi fa un cenno e torna a leggere.
Questa cosa che le donne non s’innamorano di me a prima vista sta cominciando a starmi stretta, penso che se devo vivere tutta la mia esistenza così meglio annegarmi adesso.
“L’ho letto quel libro, sai?”
Si stima che circa 130 milioni di persone abbiano letto Cyrano, nessuna di quelle è ancora in vita, quelle che invece hanno visto il film con Depardieu moriranno a breve o tra una decina d’anni.
Io ho visto il film.
Sinossi: un tizio bello ma stupido vuole conquistare una ricca e splendida donzella ma non sa come fare, così l’aiuta Depardieu che ha il naso a patata ed è povero in canna ma scrive poesie.
Non so come siano riusciti a tirarla tanto per le lunghe da stampare tutte quelle pagine, ma è così che è andata.
“Ti è piaciuto?”
“Ho apprezzato i dialoghi”
“Ci sono solo dialoghi, è un’opera teatrale”.
“Appunto, se avessi preferito la prosa descrittiva non lo avrei neanche aperto”.
Un’opera teatrale, in riva al mare, bella com’è dev’essere senza dubbio un’attrice, magari sta studiando la parte di Rossana.
S’una scala da uno a dieci me la scoperei almeno trenta volte ogni gradino, senza pudore e con assoluta riconoscenza, ma non si può essere così avventati con chi ama la lettura, allora mi siedo accanto a lei e mi accorgo che il sole sta tramontando.
Quale miglior momento per portare in vita il suo personaggio più amato…
Senza spada nè piumato cappello affronto l’ardua impresa.
“Il Sole è un’Effimera che vive un solo giorno, oh quanto ci hai dato in un solo giorno, quanta gioia, tristezza, quanta vita…”
Il mio pubblico rimane in apnea aspettando il finale, si sente un uomo starnutire, “shhh” gli fanno gli altri e lo screanzato viene invitato a contenersi di fronte alla mia meravigliosa ode.
“… e noi umani invece, da così lunga esistenza, perchè lesiniamo ogni suo dono”.
Un applauso s’alza corposo e spaventa i gabbiani che volano via nel cielo e la loro paura crea per sbaglio un’immagine festosa degna dei mei versi.
Torno nel mio corpo e sia lei che la gente attorno mi osservano inorriditi.
“Cos’è” faccio a uno, “non ti piace il sole? Non dovresti venire in spiaggia ad abbronzarti se non ti piace, dovresti andartene in Finlandia”.
“Se volevi che non mi dimenticassi mai di te” mi dice la bell’attrice, “ci sei riuscito benissimo”.
Poi s’alza e chiama le sue bambine, loro insistono sul fatto che quello è un’ottimo momento per fare il bagno, ma lei ricorda loro che per i bambini ogni ora del giorno è un ottimo momento.
E’ vero, fare il bagno al tramonto è il massimo, bisogna imparare dai bambini prima che diventino adulti e scordino tutto ciò che di buono c’è da sapere.
Colantuono è un vecchio ubriacone che vive in una vecchia casa risalente al mesozoico, i mobili li ha raccattati da qualche anziana signora che voleva liberarsene e le sedie reggono a stento il suo corpo scarno. Mi avvicino al divano coperto con un lenzuolo per nascondere lische di anaspidi e ossa di apatosauro e gli chiedo:
“E’ sicuro sto coso?”
“Non metterti comodo, stai per andare” risponde, “vuoi niente da bere?”.
“Sì, ti ringrazio”
“E allora niente avrai”.
Non è il più facile tra gli uomini ma è senza dubbio l’unico che sappia come si conquista una donna che ama la poesia in quanto tutta la sua vita è una rima: breve, ripetitiva e incatenata.
“Cosa sai dirmi di questa donna oltre che sa leggere ed è bella?”.
Ha gli occhi più grandiosi che abbia mai visto, sembra pura di spirito, vorrei prenderla da dietro e farle assaggiare il mio …
“Partiamo dagli occhi” mi ferma, “quel che vuoi darle da mangiare tienilo per te”.
Si alza, gira per la stanza ad occhi chiusi e poi di colpo:
“All’uomo che all’amore s’inginocchia,
io urlo “alzati che s’ama in piedi”,
che ad ogni ora il cuore ti s’invecchia,
e i dì ben presto non saranno lieti,
s’ama ballando, s’ama galoppando
ai cinici l’ alcova ed il riposo
che la passione non ha sonno e senno,
e varca la trincea dell’indifeso.”
“Gli occhi” gli dico, “non scordare gli occhi”.
Mi guarda come un macellaio guarda un coniglio prima di spezzargli il collo. Gl’indico i miei nel caso non avesse inteso.
“Amami per ciò che non son stato
non sono adesso e non sarò mai più,
per tutto ciò a cui in vita ho rinunciato,
se non puoi amarmi per le mie virtù.”
“Gli occhi” sussurro. Mi afferra per il collo e mi chiede se credo che le donne siano inette e incapaci.
“Centomila stronzi al giorno parlano degli occhi delle donne pensando alle loro tette per raggirarle. Vuoi aggiungerti a loro?”
Molla la presa, scrive i versi in un foglio di carta e mi chiede di andarmene via. Gli lascio un decino sul tavolo, lo guarda con disprezzo ma lo afferra come fosse la cosa più importante della sua inutile quanto creativa esistenza.
“Dovesti vederli i suoi occhi, sono grandi e allungati e poi…”
“Va via!” grida e prima che arrivino i vicini mi chiudo dietro la porta e lo lascio nel suo buco a marcire.
E’ quasi il tramonto e come al solito, dritto come un soldato ma bello come la pace, faccio la mia passeggiata e penso a chissà cosa sia passato nella testa delle cento donne almeno che mi hanno visto fare la mascolina traversata della caccia, arte antica e tradizione di ogni luogo al mondo che sia o sia stato bagnato dal mare.
“Si sposta?” sento una voce femminile: “Non riesco a vedere le mie bambine in acqua”.
Rientro nel mio corpo: “Se aspettassi due secondi…”
“Sono già passati due minuti e non ti sei smosso di un centimetro”
Vorrei un pilota automatico che guidasse i miei resti umani quando vago con la mente, cosìcché nessuno capisca dove sono e non mi segua per rubarmi i sogni.
“Ma sei tu!” mi dice.
M’incammino verso la bell’attrice che stavolta non ha alcun libro tra le mani e le chiedo dove sia finito il suo Cyrano.
“Oggi era indisposto, ha preso una tranvata in testa ieri sera, prima che andassi a dormire perchè i suoi nemici erano troppo codardi per affrontare la sua spada”.
Mi siedo accanto a lei e le dò il mio foglio.
“Forse questo smorzerà la sua mancanza”.
Lo apre.
“Sorride” penso, “è fatta”
La sua piccola e deliziosa mano destra, perfino più sublime della sinistra, sembra più pesante della trave che ha colpito il romantico spadaccino. Mi porge il pezzo di carta e mi osserva disgustata.
“Non vuole altro che portarti a letto”, c’era scritto, “niente del bello che c’è in te lo ha stregato se non la scorza che ti ha dato la natura, sei per lui un paesaggio inanimato, nulla di ciò che col tempo, da sola, hai creato per completare l’opera lo ha appassionato e lo appassionerà. Un porco almeno dà salame e lucido da scarpe, ma lui… se lo scuoiassero sarebbe più lo scarto che il companatico. Un amico”.
Dannato vecchio ubriacone, viscido e immondo, buono per la fossa. Lo sento singhiozzare dal ridere. Lo sento bisbigliare alle mie spalle.
“Agli occhi che son fatti per vedere,
a quelli che è un onore contemplare,
al cieco il privilegio di dolere,
del buio da cui non può più scappare.
Che gli altri invece sfruttino il momento
in cui uno sguardo incontra cosa bella,
che trovino un sereno appagamento: …”
Prima che finisca lo infilzo con un capoferro, lo trapasso da parte a parte e tiro su fino ai polmoni cosicchè la trachea sfiati e non gli permetta di finire la strofa.
“..ciò che s’è visto il cuor non lo cancella” dice mentre la bell’attrice lo sorregge.
“Mostro, ripugnante mostro” urla e tutti attorno mi guardano sgomenti.
Colantuono le sussurra che avevo ragione, che i suoi occhi sono cosa rara.
“Io non volevo, è stato lui a ingannarmi” mi difendo.
“Passami quel telo, dobbiamo fermare il sangue, sei un lurido mostro!”
Non era così che volevo che finisse.
“Allora me lo dai o no quel telo?”
Mi capita spesso, io non vivo, immagino di vivere e in quei frangenti il tempo scorre lentamente, talmente che quarant’anni per me sono come cento dei vostri, perciò ho questo magnifico corpo, sono come in ibernazione.
Getto il telo sulla battiggia e lo spingo via col piede.
“Che fai?” mi dice la bell’attrice.
Lei non può capire, non sa quale danno riceveremmo io e il vecchio Colantuono se le concedessi anche una sola gentilezza.
“Ormai è da buttare, lascia che il mare lo riconsegni alla natura”.
“Quale natura, idiota, è polietilene riciclato”.
Ma non cedo alle sue provocazioni, ho ancora duecento metri da percorrere prima che il tramonto smetta d’illuminare il mio petto finemente intagliato nel nero di Ashford.
AC
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