I pompieri di Palermo e la saracinesca

On 17/08/2012 by alecascio

Palermo, 12 Agosto 2012

Oggi me ne andavo in giro per Palermo con Maria Soledad a fotografare gesucristi, eroi dimenticati e case vecchie, quando a un certo punto appoggio il braccio sulla saracinesca di un’autofficina e un gatto mi sussurra “miao”, che vuol dire “hey, tu, sono qui”.
“Dici a me?” faccio così col dito sul petto.
“Miao” mi risponde il gatto che vuol dire: “Sì, dico a te, tirami fuori da questo impiccio”.
Il piccolo, un paio di mesi circa, penzolava da una fessura sull’insegna dietro alla quale era sistemato il rullo della saracinesca. Respirava a malapena.
Una ragazza abbronzata, tatuata, con una bambina di tre anni in spalla mi dice che è da ieri che il micio è lì e “miao” dice la bestia, che vuol dire “è vero, da ieri alle otto, nessuno si è fermato e non penso che alla gente gliene freghi niente”.
E’ vero, i passanti sono completamente disinteressati, calati al meglio nell’atmosfera distratta dell’Estate.
Il padrone dell’autofficina si chiama Angelo, ieri ha chiuso gatto e negozio e ha piazzato un bel cartello con su scritto: “In ferie dall’11 Agosto al 28 Agosto”.
“Ce la fai fino al 28?” chiedo al micio e lui mi risponde “miao”, che è una bestemmia.
Parlo con la ragazza madre che mi dice di aver chiamato tutte le forze dell’ordine, le mancano solo i parà, ma nulla, non se la cacano di striscio. Dico a Maria Soledad di prestarmi il cellulare che il mio l’ho lasciato chissà dove da chissà quanto e chiamo la Polizia. Squilla a vuoto. Due, tre volte, niente, squilla a vuoto. Chiamo pompieri, vigili, carabinieri e per sbaglio faccio anche l’emergenza infanzia. Mi scuso ma sbaglio di nuovo e chiamo il CNR.
“Emergenza animali?”
“No, centro nazionale ricerca”
Mi scuso ancora, poi faccio il numero giusto e risponde una tipa della lotta antivivisezione che mi dice di rimanere dove sono, di aspettare i soccorsi. Io pensavo fosse lei “i soccorsi”.
Mi dice: “Se potessi farei qualcosa …” ed è sul punto di piangere per la triste storia del micio e della saracinesca che io racconto con grande maestria narrativa e la capacità melodrammatica tipica dei siciliani.
“Miao” urla intanto il gatto, che vuol dire: “Smettila di fare l’eroe, io qui non respiro”.
Chiamo i pompieri, finalmente rispondono e mi dicono che verranno presto, così mentre io e Maria Soledad aspettiamo, faccio dei versi con la bocca al micio affannato e gli racconto di me e delle mie meravigliose avventure in giro per il mondo mentre lui continua a miagolarmi addosso. Poi il silenzio, gli si scaricano le batterie come gli orsetti delle Duracell con le pile normali, rimane ad occhi chiusi e penzola come mai aveva penzolato prima.
“Dai fratè, non ci lasciare, continua a parlare” urlo, e la gente che mi si è accalcata attorno mi guarda strano.
“L’ho visto fare in un film” rispondo, “se ci si abbandona alla morte poi si muore per davvero, vale per noi uomini che stiamo sulle gambe e per i gatti incastrati nelle saracinesche delle officine. Non fa differenza, se ci si abbandona alla morte poi si muore per davvero”.
Sferro un pugno così forte che il gatto si sveglia e grida “miao”. Devo avergli fatto una specie di massaggio cardiaco, la saracinesca deve avergli premuto il petto e il suo cuore ha ricominciato a battere. Almeno è quello che mi piace pensare.
Dopo un po’ arrivano i pompieri e “finalmente i fantastici quattro” dico, ma quelli mi guardano storto anche se a dire il vero sono quattro, sono eroi a loro modo, c’è un gattino in pericolo e insomma, avrebbero dovuto ridere. Mettono le tute e cominciano a forzare l’insegna, ma il capo grida che non possono fare danni, che se scassano tutto beccano una denuncia. Il pompiere col piede di porco tra le mani se ne frega della denuncia, lui ringrazia Dio di essere lì a tirare bestiole fuori dalla cacca che a spegnere roghi sui monti.
“Tiralo fuori con le mani” grido, ma non mi ascolta, “tiralo fuori” dico, e alla settima-ottava volta il pompiere prende il gatto dalla coda e lo strappa via come una pannocchia dal racemo.
La bestia, senza neanche ringraziare, scappa via e non fa più ritorno.
Firmiamo un foglio, lo fa Maria Soledad perchè io la carta d’identità l’ho lasciata chissà dove da chissà quanto, assieme al cellilare. Dico che questa cosa del salvataggio mi ha emozionato, che vedere quattro omoni pesanti che salvano una palla di pelo di un chilo appena mi ha scaldato il cuore. Stringo la mano a tutti e ringrazio come se avessero salvato me.
“Facciamo quello che possiamo, se possiamo” dice il capo che a dire il vero non ha fatto nulla oltre a chiedermi i documenti.
Chiamo a me la bimba e la mamma abbronzata e dico al pompiere che oggi hanno fatto più di quanto pensano e che gli occhi di quella bambina non scorderanno mai. Quando un giorno, da grande, qualcuno le parlerà del mondo come fosse un calderone di vergogna, menefreghismo e codardia, lei le racconterà di un uomo tatuato e una donna col naso all’insù e di quattro uomini in divisa che un giorno, a Palermo, hanno passato due ore sotto a un feroce caldo a cercare di tirar fuori un gatto dalla saracinesca di un’autofficina.
“Io i buoni li ho visti”, dirà, “anche se nessuno di loro aveva la faccia da buono”.
Mi chino su di lei e le stringo la mano: “Mi chiamo Alessandro, non scordare di citarmi nella tua storia”.
Lei non capisce, ma so che un giorno capirà.

Alessandro Cascio


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