Il blues del minestrone

On 16/09/2022 by alecascio
Bisogna mangiare cibi sani, che fanno bene, per morire in salute. E’ pressapoco quel che ho capito di questo articolo scritto da un uomo di cultura, ingegnere delle vitamine.
Apro il frigo e tra un Kinder Pinguì e una busta di Sofficini c’è la morte appollaiata sul fondo che legge gl’ingredienti del salame ungherese.
“Cloruro di polonio, arsenico condensato, solfato di aspartame…”
“Hai finito?”
“No” risponde, “idrato di carbonio”
“Non esiste nulla di tutto questo”
“Ti dico di sì, sei praticamente radiattivo”.
Nel cesto della frutta ci sono un paio di pesche e la mela usata da Guglielmo Tell ancora viva e colorita.
Vado dal fruttivendolo, l’interno sembra un giardino giapponese invaso dai mongoli. Non sono abituato a comprare verdure ma ricordo che si comprano al chilo, mia nonna faceva così, perciò prendo un chilo di quello, quell’altro e quell’altro ancora e mi ritrovo con otto chili di roba nel bancone.
“Vivo da solo, forse è un po’ troppo”
Con sguardo compassionevole Luciano mi prepara delle porzioni giuste per me e poi mi chiede una manciata di spicci per due sacchi di roba. Se fossi vegano avrei una villa alle Seychelles.
Torno a casa e metto una parte in frigo, la morte è ancora lì con in mano una confezione di burro.
“Carbonato di titanio”
“Ho comprato le verdure, non vedi? Ora puoi smetterla di assillarmi”.
Si spiegazza la veste, si scrolla di dosso un po’ di ghiaccio e mi mostra un odioso ghigno: “Bene, allora ci vediamo tra cent’anni”.
Cucino il minestrone, viene su un odore di palude di Limberlost misto a feci di coniglio. Penso a quale Dio possa mai aver messo quintali di salute e benessere dentro a quella roba insipida, probabilmente lo stesso che mandò la manna agl’israeliti nel deserto.
La mangiarono con disgusto e si guardarono bene dal chiedere anche da bere per evitarsi fiumi di piscio di cammello.
A tavola mangio il primo boccone e sento già le mie cellule rinvigorirsi eccetto i miei neuroni, accartocciati come fogli di un poeta senza gloria.
Al secondo boccone penso che non c’è nulla di più inquinato della terra. Microplastiche, ceneri, residui trasportati dal vento dalla lontana Chernobyl alle campagne di Grisì. Penso che tutti scalciano per fare le analisi a una mucca ma non si sognano neanche di fare un prelievo a una zucchina.
La morte mi dà una grossa pacca sulla spalla.
“Allora? Non ti senti rigenerato?”
“Non so se tu possieda una casa o viva d’accattone nei frigoriferi della gente, ma ovunque tu abbia intenzione di andare, portami con te”.
Ho letto che esiste una cosa chiamata ipervitaminosi, ne soffri quando consumi troppe vitamine, i disturbi possono anche essere devastanti.
“Dovresti mangiare diciotto chili di arance per avere un’ipervitaminosi”.
Vani sono i miei tentativi di sminuire il minestrone, è intoccabile, integro, puro.
Finito il pasto il mio corpo è sazio, di una sazietà più simile alla perdita di sensibilità di uno stinco che ha ricevuto un centinaio di sprangate e ha ormai tutte le terminazioni nervose irreparabilmente danneggiate.
Alle 22.30 di solito la morte va via per dormire nei cofani degli adolescenti ubriachi alla guida.
Afferro il salame, dò un morso talmente deciso che l’anima del porco fa un balzo nel paradiso degli animali in cui si trova.
C’è un uomo, da qualche parte nel mondo, morto all’età di cent’anni nonostante abbia fumato, bevuto e vissuto al limite da quando era in fasce, nessuno lo conosce, è il nonno dello zio del cugino di uno di cui abbiamo sentito parlare ma è su di lui che riponiamo le nostre speranze noi che abbiamo fatto dell’autolesionismo uno stile di vita.
oool

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